Ora lo si può scrivere, dire ad alta voce senza incorrere in alzate di spalle, senza sbattere contro il muro di gomma dell’indifferenza, senza subire minacce: è stato ucciso un ragazzo, si chiamava Federico Aldrovandi, aveva da poco compiuto 18 anni quando all’alba del 25 settembre 2005 incontrò sulla via di casa 4 agenti di polizia. Dopo un scontro durata mezz’ora lo hanno ucciso. La IV sezione della Corte di Cassazione ha confermato definitivamente le sentenze di primo e secondo grado: Enzo Pontani, Luca Pollastri, Paolo Forlani, Monica Segatto sono colpevoli e condannati a tre e anni e sei mesi per eccesso in omicidio colposo. Una pena che avrebbe potuto essere più grave se solo fossero state fatte adeguate e normali indagini subito dopo la morte del ragazzo, se solo l’Italia avesse recepito nel proprio codice penale il reato di tortura, come da anni sollecita la Corte Europea dei diritti dell’uomo. “E una condanna storica, ha commentato Fabio Anselmo, avvocato della famiglia Aldrovandi, che dice basta ai falsi alibi, ai depistaggi. Nessun uomo che indossa una divisa può sentirsi al di sopra della legge, protetto da una alone impenetrabile di impunità”.
“Dopo sette anni respiro aria di giustizia, ha commentato subito dopo la sentenza il papà di Federico Lino Aldrovandi, ma ora giustizia e dignità per tutti gli altri, si chiamino Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli. Ora chiedo anche al prefetto Manganelli che mantenga gli impegni presi davanti a me e a mia moglie. Il carcere non mi interessa, questi quattro agenti infangano l’onore della divisa che indossano, devono abbandonare la polizia. Tre sentenze dicono che quanto meno non sono adatti a svolgere questa professione”.
Molta gente ha accolto in silenzio la lettura della sentenza avvenuta alle 19.30. Parenti, amici, rappresentanti di comitati, altre donne che con Patrizia Moretti sono impegnate nel chiedere verità e giustizia per i loro cari.
“Senza il coraggio della famiglia Aldrovandi oggi non si parlerebbe di mio fratello, ha commentato,Ilaria Cucchi, sono stati i loro ad indicarci una strada, fatta di civiltà e di fiducia nella giustizia”.
“Una sentenza che toglie la licenza di uccidere, vorrei per sempre, dice Lucia Uva. Finalmente ad essere processati e condannati non sono veri o presunti drogati e ubriachi, ma persone che in nome dello stato avrebbero dovuto tutelarli”
“Una sentenza che mi dà il coraggio e la speranza di continuare, commenta infine Domenica Ferrulli. Mio padre è morto nelle stesse circostanze di Federico. Le indagini sono state immediate e serie e presto ci sarà un processo.”
Alla lettura della sentenza non erano presenti né gli imputati, né i loro difensori.