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Villa Adriana, si è evitato il peggio

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Tutto per bene fra Corcolle e Villa Adriana? Per la verità è stato evitato il peggio e in questa Italia spaesata è già qualcosa. Ma la vicenda della nuova discarica va seguita con estrema attenzione e comunque la sciagura appena evitata ci dice che siamo ormai un Paese senza bussola. Soltanto in un’Italia incapace di pianificare alcunché sul proprio territorio si poteva ipotizzare una maxi-discarica di rifiuti a Corcolle di Roma, cioè a 700 metri dal perimetro esterno di uno dei gioielli della civiltà romana, la splendida Villa Adriana, verso Tivoli, nel pieno di un paesaggio tante volte dipinto dai vedutisti di ogni Paese, sopra una falda che alimenta ancora con 1000 litri al secondo la zona est della capitale. Decisione dissennata sostenuta contro il parere delle Soprintendenze, dell’Autorità di bacino Tevere-Aniene, del ministro per i Beni culturali, Ornaghi (arrivato, tardivamente, a minacciare le dimissioni), del ministro dell’Ambiente, il più risoluto Clini, di tutte le associazioni ambientaliste e di oltre cinquemila intellettuali di ogni nazione. Favorevoli alla discarica, fino all’ultimo, la presidente della Regione Lazio, Polverini, e il commissario, prefetto Pecoraro, il quale, sulla soglia di Palazzo Chigi, ha ripetuto il diktat: “O Corcolle, o i rifiuti per le strade di Roma”.

Il Consiglio dei ministri prima ha detto un quasi “sì” invitando però il commissario “ad approfondire”. Poi ci ha ripensato bocciando il sito e incaricando un nuovo commissario, il prefetto Sottile, di trovarne uno alternativo. Cosa non facile, vuoi per l’entità della discarica da insediare e del traffico infernale di camion che essa comporta, vuoi per la natura stessa della campagna romana, bellissima, verde, coltivata e ricca di preesistenze antiche che non si possono ignorare (acquedotti, ville romane e rinascimentali, castelli, necropoli, ecc.).

Vengono tutti insieme al pettine nodi mai affrontati secondo i ben noti criteri: ridurre, riciclare, recuperare e riusare i rifiuti. L’Istat ci fa sapere che non riduciamo, produciamo infatti 533 Kg di rifiuti a testa, 23 più della media UE, e che al Centro, e quindi a Roma, si sale a 600 Kg, mentre la raccolta differenziata si ferma qui al 28 % (contro il 40 % del Nord). Roma quindi continua a dipendere dalla mega-discarica, spaventosa a vedersi, di Malagrotta, ormai esaurita. Perché? La raccolta differenziata non è certo facile nel Comune più esteso d’Italia – circa 130.000 ettari, undici volte Napoli, dieci volte Torino o Bologna, sette volte Milano – con quasi 3 milioni di residenti e centinaia di migliaia di turisti al giorno. Tuttavia essa è stata avviata tardi e male.

Nello stesso centro storico, il più vasto del mondo, il “porta a porta” è in atto soltanto per l’umido e per il non riciclabile, mentre carta, cartoni, ferro, plastica, vetro devono essere portati dagli abitanti a centri di raccolta, a giorni e ad orari fissi. Secondo Legambiente, negli ultimi tre anni la differenziata è progredita appena dello 0,5 % (secondo l’AMA, peraltro molto contestata dai romani, del 16,5), soprattutto per il crollo della raccolta più facile: carta e cartoni. Anche per l’umido ci sono problemi perché l’impianto di compostaggio di Maccarese è ormai insufficiente. Si può essere più imprevidenti di così? Ovvio che la capitale sia Malagrotta-dipendente.

Ora il prefetto Sottile dovrà trovare un nuovo sito “compatibile”. Non sarà facile poiché gli altri individuati insieme a Corcolle erano stati proposti (interessatamente) da imprese. Il caso evidenzia in modo clamoroso l’insipienza di classi dirigenti che si rifiutano di pianificare, anche il futuro più prossimo, in un Paese bello, delicato, molto abitato nelle aree metropolitane e lungo le coste, già ampiamente sfregiato. Bisognava proprio arrivare alla porta del Consiglio dei ministri con una non-soluzione come quella di Corcolle? Si è perso tempo e si ricomincia da capo. Ma Villa Adriana e il paesaggio sono salvi. Si è evitato il peggio. Consoliamoci così.


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