Vaticano sull’orlo di una crisi di nervi, fra spie, Ior e fine del regno

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Il primo dato su cui riflettere è questo: il Vaticano in tutta la giornata di ieri non ha mai ammesso ufficialmente che “la talpa” nell’appartamento del Papa fosse Paolo Gabriele, assistente di camera del Papa. Tuttavia ha lasciato correre la voce sull’identità dell’indagato

, ha fatto sapere che la persona era “in stato d’arresto” e in via ufficiosa ha confermato la cosa. Il motivo è semplice: l’uomo è stato interrogato dal procuratore di giustizia Nicola Picardi, una sorta di pubblico ministero Vaticano, e le indagini però sono ancora in corso. Di certo il maggiordomo del Papa è stato trovato con documenti che non doveva avere, e tuttavia non vi è la certezza che sia lui la vera spia o che, soprattutto, sia l’unico coinvolto nel gioco al massacro che ha visto uscire dai sacri palazzi, nel corso degli ultimi mesi, decine di lettere e appunti riservati, missive, accuse, denunce interne e rivelazioni scabrose.

Il maggiordomo del Pontefice, in ogni caso, è coinvolto nella storia, ha giocato la sua partita, ma i dubbi restano. Tanto che la Santa Sede non vuole assumersi la responsabilità di diffondere il nome, magari aspettando per farlo che venga formulato contro di lui un preciso capo d’accusa. Anche il Papa si dice, è dispiaciuto, ma sono sempre fonti anonime a comunicarlo. Resta il fatto che la notizia arriva all’indomani di un evento che, dal punto di vista del peso politico e delle conseguenze sulla vita della Chiesa universale, è assai più rilevante della sensazionalistica scoperta del ‘corvo’. E cioè la sfiducia da parte del Consiglio di sovrintendenza dello Ior al presidente della banca vaticana Ettore Gotti Tedeschi. Un fatto che segna una rottura profonda all’interno della più stretta cerchia dei collaboratori del Segretario di Stato su un tema delicatissimo, quella della gestione delle finanze vaticane. L’entità e la ramificazione internazionale di questo tesoro resta uno dei segreti più agognati e meglio custoditi al mondo.

Tanto che in ballo c’è l’adesione della Santa Sede a complesse normative internazionali sulla trasparenza finanziaria e sul contrasto al riciclaggio del denaro sporco. Ma nno è finita: lo Ior, infatti, conserva segreti numerosi e imbarazzanti – almeno stando alle tante richieste di informazione rivolte dalla magistratura all’istituto e finite nel nulla – sulla storia italiana di ieri e di oggi. E certo questa ‘memoria’ delicata e ingombrante rende più difficile ogni operazione di adeguamento alla trasparenza. Così è accaduto che l’effetto della notizia dell’arresto della talpa, ha coperto, almeno per un po’, la crisi in cui è precipitato lo Ior e il problema di un governo vaticano che sembra travolto da una parte dai tradimenti interni riconducibili ai suoi stessi apparati, dall’altra da difficoltà crescenti sui nodi cruciali, dalla politica estera all’economia.

E poi sulla vicenda del corvo emergono altri aspetti. Intanto il fatto che una parte dei documenti pubblicati su libri e giornali e provenienti dai piani alti del Vaticano, non sono tutti per forza riferibili all’appartamento del Pontefice. Si pensi alle lettere di del cardinale Attilio Nicora che si lamentava con lo stesso cardinale Tarcisio Bertone e con Gotti Tedeschi per la diminuzione dei poteri dell’Autorità d’informazione finanziaria – organismo chiave nella strada che porta lo Ior alla la ‘lista bianca’ dei Paesi virtuosi finanziariamente – o ad altri documenti dello stesso tenore, scambiati fra diversi funzionari e porporati. Nicora, del resto, è uno dei cardinali entrati in contrasto con il Segretario di Stato sui temi della gestione finanziaria, come già fu per monsignor Carlo Maria Viganò, ex Segretario del Governatorato vaticano e oggi ambasciatore del Papa negli Stati Uniti, indicato a suo tempo come il “corvo”. Uscirono infatti sui giornali varie missive nelle quali Viganò si lamentava per la sua estromissione dalla gestione amministrativa del Governatorato dove sosteneva di aver portato pulizia e buona gestione.

E allora l’ipotesi che si fa in queste ore è “che ci siano altre talpe, è una possibilità che non si può escludere, intanto le indagini proseguono” dicono dall’interno di un Vaticano che non si è mai sentito sotto assedio come in questo momento. Nei giorni scorsi il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, alla luce delle nuove clamorose pubblicazioni di documenti, aveva detto che “si trattava di atti criminali” con i quali si violavano la “privacy e la dignità del Santo Padre”, inoltre ci si appellava alla collaborazione con le istituzioni italiane ed europee per appurare la verità. Ora è chiaro che se l’appartamento del Papa è stato “violato”, anche i più stretti collaboratori del Pontefice sono chiamati in causa a cominciare da quel don Georg che della vita di Ratzinger è uno dei principali custodi. E tuttavia, se pure il maggiordomo, come in un fin troppo classico romanzo di Agatha Christie è il colpevole, sembra difficile che abbia fatto tutto lui e tutto da solo, mentre il suo profilo comincia ad assomigliare sempre di più a quello di un capro espiatorio.

Il maggiordomo, le spie l’appartamento

Lo si vede spesso a fianco del Papa, ma certo non lo si nota più di tanto. È uno degli uomini in giacca e cravatta, entrambe scure, ordinato e serio, che fanno da contorno a Ratzinger a bordo della sua papamobile, in Italia e durante i viaggi all’estero. Lo si potrebbe confondere con uno della scorta. E invece Paolo Gabriele, l’assistente di camera, il cameriere del Papa tradotto in lingua volgare, è finito nell’occhio del ciclone perché le indagini della gendarmeria vaticana e della commissione cardinalizia (guidata dall’anziano ed esperto porporato dl’Opus Dei Julian Herranz) incaricata da Benedetto XVI di scovare la mitica talpa che passava i documenti all’esterno, l’hanno identificato.

I dati biografici sono scarni ed è giusto così: poco più di 40 anni, sposato, tre figli. Questa vicenda deve aver travolto la sua vita familiare, la sua stessa esistenza. E tuttavia fin dalla mattinata di ieri il Vaticano faceva sapere che la persona fermata era stata trovata “in possesso di documenti riservati”. Era questa “la pistola fumante”, la prova che lo inchiodava; Gabriele dovrà dare ora diverse spiegazioni. Nelle strade intorno a San Pietro, si raccontava che di qualche traffico del cameriere del Papa, si sapeva, la voce circolava da tempo. Gabriele, del resto, il Vaticano lo doveva conoscere bene. Veniva infatti dal servizio prestato alla Prefettura della Casa Pontificia guidata dal monsignore americano James Harvey, l’uomo che accoglie tutti i presidenti, i capi di Stato del mondo, e li accompagna in udienza dal Papa. Dunque aveva familiarità con le stanze vaticane. Da quel servizio, nel 2006, è passato all’appartamento del Pontefice. In questo incarico è uno dei pochi ad avere accesso regolarmente al Pontefice, partecipa alla messa privata del mattino con Ratzinger, pranza con lui e pochi altri stretti collaboratori della famiglia pontificia. Fra di loro le quattro memores domini di Comunione e liberazione – laiche consacrate – che svolgono servizi di segreteria, di assistenza e in cucina, e poi naturalmente ci sono i due segretari, don Georg Ganswein e il maltese don Alfred Xuereb. E’ un gruppo ridotto al minimo che però gestisce materiali e documenti super riservati. D’altro canto l’appartamento del Pontefice, anche in passato, è sempre stato oggetti dell’attenzione di spie e servizi segreti. Si pensi agli anni di Wojtyla in cui l’entourage del Papa polacco fu ripetutamente infiltrato dai servizi dell’est. Da ultimo venne fuori il caso del padre domenicano polacco Konrad Stanislaw Hejmo che gestiva il flusso di pellegrini provenienti dalla Polonia e aveva un rapporto diretto e continuo con Giovanni Paolo II. Dall’apertura degli archivi polacchi è venuto fuori che si trattava di un informatore dei servizi di Varsavia, anche se lui ha negato recisamente.

da Il Mondo di Annibale


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