BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Quali alternative ai Cie? Costi, class action proposte emerse e altri casi nei Cie regionali

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I dati

14mila euro annui pro capite per il mantenimento dei Cie contro i 2000 euro delle politiche d’integrazione, in un rapporto di uno a sette, dove i costi della sola gestione dei centri supera di oltre sette volte quello di adeguate politiche d’inclusione.

“I dati sono stati ricavati dalla Corte dei conti e si riferiscono al 2010 – ha affermato Andrea Stuppini, esperto d’immigrazione – I costi dei Cie, stimati per oltre 204 milioni di euro (suddivisi in 140 milioni per la costruzione; 30 milioni per la gestione e 34 milioni per i rimpatri) benchè l’analisi sia approssimata per difetto, superano quelli delle politiche d’integrazione”. Questa la dichiarazione del tavolo sui costi dei centri d’identificazione ed espulsione all’atto del convegno Bolognese “Quali alternative ai Cie? Prospettive e proposte” inserito nell’ambito di Transeuropa Festival e promosso da European Alternatives, Rete pirmo marzo, associazione Giù le frontiere, LascieteCIEntrare, People power partecipation, nel quale si sono messe a confronto pratiche e campagne nazionali e internazionali al fine d’individuare azioni e percorsi alternativi per arrivare alla chiusura dei Cie.

I nuovi Casi

Tre almeno i nuovi casi riguardanti i Cie di Modena e Bologna.

Cècile Kyenge denuncia il caso di Fanin, un ragazzo marocchino di 27 anni rinchiuso al Cie modenese da dicembre a seguito di un’aggressione da parte di ignoti che l’ha fatto trasportare prima in ospedale e poi al Cie perchè privo di documenti. Ma Fanin è conosciuto perchè venuto alla ribalta delle cronache quotidiane: qualche mese prima aveva sventato una rapina in una farmacia di Bologna, intervenendo, nonostante l’assenza di regolare documentazione, per fermare e far arrestare i rapinatori, mettendo quindi a rischio la propria incolumità e il proprio futuro nel paese. Un motivo, questo, che ha spinto il legale Fabio Loscerbo a richiedere per lui il permesso per motivi di giustizia che gli è poi stato negato poichè il procedimento per rito abbreviato, relativo alla rapina, si era già concluso. Ieri scadeva invece il nuovo pronunciamento atteso da parte della Questura per una nuova richiesta di permesso per motivi umanitari giustificato dal lodevole comportamento di Fanin. All’oogi tutto tace.

A margine del convegno la giornalista Laura Pasotti dell’agenzia il Redattore sociale ha denunciato altri casi a seguito della sua entrata al Cie di Bologna di mercoledì 9 nell’ambito delal campagna LasciateCIEntrare di aprile. Almeno due donne giacciono nel limbo degli sconvolgimenti politici del loro paese d’origine: Esma, di origine croata ma non riconosciuta nè dalla Croazia né dalla di Bosnia e Zineta, della ex Yugoslavia che con il suo Paese, l’attuale, la Bosnia, non ha più nessun legame. E poi tante altre nigeriane vittime di tratta e di violenze: almeno tre stanno denunciando i propri aguzzini. (se ne allegano le battute di agenzia del 10/05/2012).

Alternative per diminuire l’illegalità amministrativa

Premessa importante e largamente condivisa nei quattro tavoli di discussione è stata la necessità di un decisivo superamento della Bossi Fini, ritenuta artefice di una larga parte della produzione di clandestinità amministrativa nel nostro paese, nell’ottica del rispetto delle convenzioni internazionali firmate, ma inapplicate dall’italia, come quelle contro la tortura, contro la violazione dei diritti umani, seguendo l’idea espressa nel recentemente pronunciamento della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato.

Oltre al rispetto dei diritti dei minori e dei richiedenti asilo e dell’applicazione della convenzione di Ginevra, si è auspicata l’adozione della convenzione Onu sui diritti dei lavoratori. Open society Foundation ha invece denunciato la pericolosità delle esternalizzazionidella detenzione dei migranti all’estero “Vi è la necessità – ha detto Costanza Hermann – di un lavoro di advocacy internazionale con le istituzioni europee: per questo faremo rapporto nella prossima visita dei referenti del comitato prevenzione e tortura del Consiglio d’Europa in Italia e all’arrivo del rapporteur dell’Onu, a settembre, forniremo dati ed alternative”.

Dal punto di vista della riduzione dei problemi d’identificazione tutti italiani, la proposta si è focalizzata su percorsi che puntino alla riduzione della clandestinità avviando un differente iter in entrata che superi la logica dei flussi, prevedendo la registrazione al consolato o all’ambasciata per visto turistico, riconvertibile poi in visto lavorativo, con la possibilità di rientro in Italia dopo un certo arco temporale. Ma anche l’estensione dell’art 18 per le vittime dello sfruttamento lavorativo; l’adozione dei permessi per giustizia; leggi su ius soli e cittadinanza che possano essere ampliate ai familiari in modo da avere una gamma di soggetti esclusi, per diritto inclusivo, dall’illegalità amministrativa.

La class action

È inoltre in studio l’estensione su territorio nazionale, del percorso di azione popolare (ex art.9, comma 1, d.lgs. 18.08.2000, n.267), avviato contro il Cie di Bari dove, con l’iniziativa legale class action procedimentale, i cittadini si sono sostituiti al commune citando in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri, il Ministero dell’interno e il prefetto perché rispondano alla violazione dei diritti umani nel Cie a seguito di due accertamenti di verifica delle condizioni interne che si sono rivelate per molti versi inadeguate. “Abbiamo chiesto l’accertamento da parte del tribunale relativamente alla dichiarazione della struttura come detentiva e, tra le altre cose, mancante di un presidio sanitario nazionale a tutela dell’integrità fisica e psichica delle persone trattenute: attendiamo una risposta a luglio – ha spiegato l’avv. Luigi Paccione – La difesa della violazione dei diritti umani all’interno dei Cie è responsabilità della società civile laddove le istituzioni siano mancanti: una società civile che noi rappresentiamo con lo strumento della sovranità sociale quale rimedio democratico per superare le fragilità delle strutture pubbliche”.


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