Ieri, 24 maggio 2012, dopo sessantaquattro anni sono stati celebrati i funerali di Stato per Placido Rizzotto, alla presenza del Presidente della Repubblica, dei rappresentanti della Camera, del Senato, dei Governi, nazionale e regionale. Nella Chiesa Madre di Corleone hanno officiato il Vescovo di Monreale, i parroci e i frati delle chiese locali, Luigi Ciotti. Solenne riconoscimento per un eroe della Repubblica, proposto qualche mese fa tramite il web da Art21 e da L’Unità, rilanciato da uomini politici, associazioni antimafia, semplici cittadini e prontamente accolto dal Governo Monti che ne ha riconosciuto la forte valenza democratica. Ora bisogna estendere il riconoscimento di eroi della Patria a tutti gli altri quarantasei uccisi dalla mafia nella lotta per la riforma agraria, perché essi come i partigiani del CentroNord, battendosi contro il latifondo e il suo sistema di potere politico e mafioso, hanno contribuito a unire l’Italia e a costruire la Repubblica. Con i funerali a Placido, la Repubblica fa un grande passo avanti nel superamento delle cause politiche che allora schierarono, invece, gran parte dello Stato contro il movimento contadino e democratico. Fa un passo avanti anche la gerarchia ufficiale della Chiesa che sessantaquattro anni fa scomunicava i socialisti, i comunisti, cattolici, e quanti li votavano e li frequentavano.
Allora mai fu celebrata una messa in suffragio degli uccisi dalla mafia nemmeno del piccolo Letizia, dimenticato testimone innocente dell’uccisione di Placido e a sua volta ucciso dal medico capomafia Navarra. Ieri il vescovo di Monreale ha riconosciuto pubblicamente che Placido, caduto per il suo impegno sindacale e politico, è un onore per la sua città. Stato e Chiesa, dunque, riparano un torto storico verso la democrazia repubblicana che, nata dalla Resistenza, non è riuscita a difendere i suoi migliori figli, ne ha subito il martirio, coperto gli assassini e i mandanti, accettato i depistaggi voluti dagli apparati infedeli per destabilizzare il paese.
Le varie strategie della tensione vissute dalla Repubblica, dalla strage di Portella della Ginestra del 1947, al terrorismo rosso e nero alle uccisioni di Moro e Mattarella, di La Torre e Dalla Chiesa, dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio del 1992 a quelle di queste settimane con gli attentati degli anarchici e la tentata strage di Brindisi, indicano che opera sempre una volontà destabilizzatrice in ogni fase critica del Paese.
Non è stato un caso che il Presidente Napolitano dopo Corleone si sia soffermato presso il Sasso di Barbato, a Portella della Ginestra, a deporre un corona di fiori sul luogo dell’eccidio compiuto dalla banda Giuliano, comandato dalla mafia, dai pezzi infedeli dello Stato e della classe dirigente del paese. Così come non è stato casuale che tutto ciò sia avvenuto, sempre alla presenza di Napolitano, dopo la celebrazione del trentennale dell’uccisione di La Torre e il ventennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio.
Il messaggio che ricaviamo dall’insieme di queste manifestazioni, nel momento in cui riprende la strategia della tensione, è che per sciogliere i nodi del presente occorre tagliare quelli del recente passato condividendo l’analisi storica e politica che mafia, terrorismo, P2, P3, P4, nelle loro diversità strutturali e organizzative, sono tutti frutti avvelenati e illegali di quella parte della classe dirigente che non ha mai accettato la democrazia.
Placido Rizzotto, contadino povero che andato in guerra, diventa partigiano, matura una coscienza di classe che lo porta a dirigere i suoi compagni contadini verso i diritti, la terra, la democrazia, la libertà sociale e politica. Facendo questo percorso da autodidatta si ricollega al grande alveo democratico dei mai dimenticati Fasci Siciliani di fine Ottocento. Il riscatto dal servaggio antico del latifondo è una lotta sostenuta dalle masse socialiste, comuniste e cattoliche, ma osteggiata dalle gerarchie della Chiesa, da gran parte dell’apparato statale e giudiziario che arriva a giustificare i delitti e la mafia quale guardia bianca. Rizzotto rappresenta quella sinistra di classe che non si lascia intimidire, pur conoscendo i rischi di morte che corre. La Torre che corre a sostituirlo dopo la sua scomparsa alla direzione della Camera del Lavoro di Corleone è altrettanto consapevole come tutti gli altri giovani dirigenti e militanti di quel tempo dell’impegno titanico necessario per consolidare la giovane Repubblica. Infatti, La Torre è arrestato un anno dopo mentre è alla testa dei contadini che mettono a coltura il feudo non coltivato del barone Inglese.
Sono stati eroi della Patria tutti coloro che si batterono per la riforma agraria e per i diritti del lavoro e caddero sotto il piombo mafioso come lo furono quei politici e funzionari dello Stato i quali, fedeli alla Costituzione, hanno creduto nella possibilità di cambiare in meglio il paese con più libertà e giustizia sociale. Nessuno di loro va dimenticato. Tra essi Moro, Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa, Chinnici, Falcone, Borsellino che da caduti hanno vinto. Senza il loro sacrificio non ci sarebbero stati la prima legge antimafia, la confisca dei beni ai mafiosi, le condanne all’ergastolo di migliaia di mafiosi, giudici schierati contro la mafia a difesa dei deboli in nome dell’uguaglianza dei cittadini di fronte la legge. Anche grazie a loro, oggi, i giovani italiani scendono in piazza a manifestare il loro sdegno contro la mafia e la politica che la genera e la alimenta impedendo che vincano.