Oliviero Beha, partiamo dal titolo del tuo libro “Il culo e lo stivale”. Le assonanze possono essere tante: un film del ’66 come Cul de Sac, ma anche una canzone di Dalla del ’77 in cui una prostituta “ottimista e di sinistra” viene rappresentata con “la pelliccia e lo stivale”. Per il titolo del tuo libro hai pensato anche a Dalla?
“Non ho pensato direttamente al film di Polanski, se non di passata, dedicandogli una citazione. Non ho pensato a Dalla, anche se conosco la canzone. Non ho pensato a Tinto Brass, che è il “culologo” italiano più noto in circolazione. Ho pensato, in generale, allo stato del Paese, che è ben rappresentato proprio dal “cul de sac”, o dalla parola “culo” che, come scrivo, ormai devasta sia il linguaggio del corpo che la mente del Paese; ho usato questa metafora attento all’aspetto letterale. Insomma, Berlusconi che dice della Merkel “culona inchiavabile”, Ricucci con le sue battute…., e poi basta guardare come usano il termine in Parlamento, come se niente fosse. Avevo bisogno di un punto di partenza, di un punto esclamativo, e ho usato questo”.
Noi che guardiamo sempre i Tg, notiamo che questo sostantivo viene declinato in una forma più “docile”. Ormai riscontriamo che anche i Tg parlano del “lato B” dalla mattina alla sera. Ma torniamo agli aspetti più propriamente di analisi politica. Questa settimana ha decretato – se ce ne fosse stato bisogno – la fine del berlusconismo politico; ma per te la politica non è tutto, e il berlusconismo continua…
“Certo che continua. Per cercare di spiegare dal mio punto di vista che cosa intendo per “berlusconismo” e che cosa intendo per la necessità di una sorta di “de- berlusconizzazione” – di cui questo libro vorrebbe in qualche modo costituire il manuale – non tratto solo la politica; il fatto che a Palazzo Chigi ci sia Monti e non più Berlusconi non risolve il problema, che è molto più profondo. E’ un Paese imbarbarito, sotto acculturato; è un Paese che negli ultimi 60 anni, dal secondo dopoguerra in poi, si è trasformato troppo rapidamente da contadino ad industriale, e adesso paga queste tappe forzate. La cultura popolare di allora è sparita, è stata ingoiata da una cultura operaia che poi non ha fatto in tempo a maturare. Sono spariti anche gli operai, è arrivata poi anche la televisione e il consumismo di massa. Siamo adesso un Paese culturalmente devastato, arretratissimo, che non ha intrapreso per tempo le strade della cultura scientifica e tecnologica, mentre perdeva i suoi connotati umanistici. Un vero disastro. Tutti pensano che l’unico problema sia lo spread. Certo che lo è, e che l’economia del Paese è deficitaria, che la gente si suicida e non c’è più da mangiare; però tutto questo va incastonato in un contesto che chiama in campo l’antropologia, e che ci interroga su che cosa siamo diventati, che italiani siamo.”
Franco Battiato nell’introduzione al tuo libro dice comunque che tu qualche speranza la dai, qualche ricetta la proponi…
“Sì, ma non voglio guastare la sorpresa degli ingredienti di una ricetta svelandoli adesso – invito, ovviamente a leggere il libro . Quello che posso dire è che bisogna ritornare all’essenziale, e ricominciare intanto a distinguere, in un’epoca che ha confuso tutto, fra il necessario e il superfluo, e poi – appunto – tornare all’essenziale. Io uso la formula di “rimbalzo dell’essenziale” per dare l’idea della necessità di ricominciare e cerco, negli ultimi capitoli del mio libro, di illustrare come riuscire a far rimbalzare questo “essenziale”, che potrebbe anche essere rotondo, per esempio come il culo.”
Oliviero, non so se condividi: due delle vittime più sacrificate del ventennio berlusconiano, a mio giudizio sono state il lavoro e la donna…
“Senz’altro , ma io parlo in un capitolo del fatto che sia sparita “prima” la dignità del lavoro e “poi” il lavoro. Metto in quest’ordine la questione. Per quanto riguarda le donne, in questo ventennio, dopo la stagione femminista, sono state rimandate indietro con molte perdite, però continuano la resistenza a quest’arretratezza, a questa sorta di regressione socio – politica, culturale e pubblicitaria. Ho usato il termine “pubblicità” in un capitolo del mio libro che spiega bene la questione, cioè la dimensione pubblica della “merce- cosa e della merce- uomo/ donna”.Ebbene la donna dà dimostrazione di grande resistenza e penso che, se vogliamo caricare su qualcuno le speranze di salvezza, beh, dobbiamo puntare più sulla donna che sull’uomo.”
Per concludere, Oliviero, sarà banale ma devo chiederti qualcosa su Beppe Grillo, fenomeno politico apparentemente scoperto ed esploso nelle ultime settimane nelle quali, quantomeno, c’è ne è stata una consapevolezza diffusa. Sbaglia chi interpreta Grillo come un altro soggetto che , come Berlusconi, usa la comunicazione in politica in maniera molto efficace?
“Mi sembra una questione alquanto astrusa. Oggettivamente Grillo sa come muoversi, ma questo si sapeva già. Il libro che ha inaugurato la casa editrice – libera ed indipendente quanto oggi lo si può essere – Chiare Lettere, per cui scrivo e che pubblica anche questo lavoro sul “culo” ma – diciamo così – sull’Italia, è stato “Italiopoli”, che io ho scritto esattamente nel 2007, quindi cinque anni fa. Il prefatore di questo libro era Beppe Grillo, che doveva ancora iniziare la stagione dei VaffaDay. Invito tutti a ricercare un filo nella storia degli ultimi cinque anni, per tentare di capire come siamo arrivati a questo punto. Perché uno degli sport più diffusi in questo Paese è quello di non accorgersi di ciò che accade, per poi sorprendersi e, ovviamente, continuare a non capire nulla.”