Consigliere D’Angelo, qualcosa forse si muove visto il leggero rinvio della determinazione sulle nomine delle autorità di garanzia, a partire dalla Agcom. Lei come vede questa vicenda? Come finirà? E poi, quali dovrebbero essere i requisiti sostanziali per concorrere – l’avanzamento dei curricula, le specificità professionali – apertamente ed in maniera trasparente alle autorità?
“Intanto un primo risultato che si è ottenuto è che queste nomine – che in genere venivano decise in condizioni di poca trasparenza ed attenzione pubblica – sono ora al centro dell’attenzione. Ciò è dovuto all’impegno di alcuni parlamentari, ma soprattutto al movimento organizzato in rete che ha chiesto la trasparenza sul processo di nomina delle autorità. Questo è un risultato di per sè positivo, che mostra come i tempi sono cambiati: la rete si fa sempre più importante in tante fasi della nostra vita sociale e democratica, e questo è uno degli effetti. Quanto poi a come debba tradursi questo principio di trasparenza, io penso che la presentazione dei curricula sia importante ma di per sé non sufficiente. Il curriculum attesta certo la competenza, ma è anche importante capire quali idee hanno questi soggetti nei confronti di temi fondamentali quali il pluralismo, la libertà della rete, i principi di concorrenza nel sistema delle telecomunicazioni, che sono temi di assoluto rilievo sia per la libertà di ciascuno di noi, sia per il mercato. Io ho fatto una proposta in tal senso, e si potrebbe agire senza dover cambiare la legge. Le commissioni parlamentari competenti, che nello specifico sono la commissione Trasporti e Telecomunicazioni di Camera e Senato, si potrebbero convocare per discutere dei criteri di nomina e per fare eventualmente delle audizioni con i soggetti interessati. Tenga presente che in altri ordinamenti – pensiamo alle nomine dei Commissari europei o dell’ Autorità delle comunicazioni americana – i soggetti interessati vengono sentiti in audizione e sono soggetti ad un vero e proprio interrogatorio – che in America si chiama cross-examination – durante il quale gli si domanda quale sia, in linea di principio, il loro pensiero intorno gli argomenti che queste autorità di garanzia dovranno affrontare”.
Consigliere, se mi permette una battuta: in Italia questo “ interrogatorio” se stiamo alla storia ed alla statistica, verterebbe sulle aderenze politiche fin dalla tenera età.
“Guardi, uno può avere anche una visione ideale e politica … ma il problema è un altro. L’autorità per le comunicazioni si troverà nei prossimi giorni di fronte a decisioni molto delicate, che riguardano la libertà della rete e la sua neutralità. Abbiamo visto nelle recenti elezioni amministrative quanto conta la rete nel processo democratico. È interessante capire qual è il pensiero su questi temi di chi si intende candidare a questa istituzione. Non vorrei ridurre a qualcosa di scontato l’idea di ascoltare le persone, perché significa in qualche misura far loro prendere un impegno di cui si può poi chiedere conto. C’è poi un altro tema collaterale, quello del regime delle incompatibilità: cioè chi può essere eletto e chi no. – Se si ha lavorato in un’impresa fino al giorno prima, non si dovrebbe essere eletti in un’autorità di garanzia; si è stati consiglieri remunerati di un azienda, si pone un problema di conflitto . Tutte queste questioni presuppongono però una modifica legislativa perché la legge attuale prevede un regime di incompatibilità, ma solo ex-post: una volta eletti, non si può lavorare per 4 anni nel settore”.
Bisognerebbe dunque fare appello alla integrità e all’indipendenza politica dei nostri attuali parlamentari…
“Guardi, io però tenderei a non demonizzare eccessivamente il Parlamento. È legittimo contestarlo e criticarlo per le sue patologie, ma è assolutamente fisiologico che il Parlamento – come depositario e rappresentante della volontà popolare – svolga un ruolo rilevante in queste vicende. Poi c’è anche un altro aspetto: per fare delle modifiche servono leggi nuove, ma nel frattempo queste nomine vanno fatte. Il suggerimento che ho dato è che si discuta comunque in Parlamento, e si cerchi in quella sede di tradurre la discussione che attraversa la rete. Questo si può fare senza bisogno di modificare la legge: ci vuole solo la volontà politica. E questo sarebbe per me un bel passo avanti”.
Consigliere, per concludere, allargando il quadro: anche per il rinnovo del Consiglio di amministrazione della Rai, che certo non è una authority ma che può “autorevolmente” contribuire, in positivo o in negativo, alla crescita della maggiore industria culturale del nostro Paese, si sta ponendo un’analoga questione. Lei pensa che uno spirito nuovo potrebbe coinvolgere questo rinnovo?
“Io penso che i problemi sono gli stessi. La Rai ha ancora di più necessità di trovare nuove formule per la nomina della sua governance perché la Rai soffre di una delegittimazione molto forte. Gli italiani non si riconosco più nel servizio pubblico: lo ritengono oramai oggetto di macelleria politica. Una forma di legittimazione del servizio pubblico non può che passare attraverso l’idea di una governance discussa e molto autorevole. Al di là del tema “ partiti dentro – partiti fuori”, l’occasione del cambiamento del consiglio di amministrazione con la Rai in questo stato può essere l’occasione per un rilancio dell’azienda, e soprattutto per un rilancio della sua credibilità. Se non ci sarà questo, io temo molto per il futuro della Rai. Temo possano prevalere spinte un po’ demagogiche – populiste, se vuole – che portano acqua al mulino di chi deice “A che serve il servizio pubblico? Vendiamolo”.