di Rino Giacalone
Si è conclusa oggi in Tribunale a Palermo la lunga fase della discussione sulla richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa dell’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, parlamentare trapanese, berlusconiano della prima ora, oggi presidente della commissione Ambiente del Senato. Il gup, giudice Francolini, ha deciso di accogliere la richiesta avanzata dalla difesa del parlamentare, avvocati Gino Bosco e Stefano Pellegrino, di procedere a processare il senatore con il rito abbreviato. La Procura antimafia di Palermo non si è opposta, i pubblici ministeri sono i sostituti procuratori Paolo Guido e Andrea Tarondo. In sostanza il giudizio verrà espresso, dopo che le parti discuteranno, sulla base della documentazione che è già entrata nel fascicolo dell’udienza preliminare, oltre un centinaio di faldoni. Prima udienza il 5 ottobre. Il resto delle udienze verranno svolte in modo ravvicinato, entro la fine del 2012 potrebbe esserci la decisione del giudice. In caso di condanna, la pena verrà ridotta di un terzo, considerata la scelta del rito alternativo, ma la difesa del politico è certa che per le prove a discolpa il pronunciamento sarà quello dell’assoluzione.
Una vicenda che arriva ai giorni nostri ma che risale a tantissimi anni addietro. Quando la famiglia dei potenti mafiosi di Castelvetrano Messina Denaro faceva da campiere con i suoi potenti uomini, don Ciccio e Matteo, nei terreni dei D’Alì. Uno di questi appezzamenti risulta venduto dai D’Alì ai Messina Denaro, ma si tratterebbe di una vendita che avrebbe permesso alla mafia una operazione di riciclaggio per 300 milioni di vecchie lire, soldi che i D’Alì avrebbero restituito ai Messina Denaro, proprio a Matteo, l’attuale super latitante della mafia trapanese. Un intreccio che secondo l’accusa ancora oggi continua a produrre effetti, a maggior ragione perché oggi c’è una mafia che è diventata impresa e per la Dda di Palermo il senatore D’Alì sarebbe stato “garante” di tutta una serie di affari tra mafia, politica e impresa.
Il nome del senatore D’Alì è stata una costante nelle indagini antimafia più recenti. La cosiddetta mafia borghese, quella che ha “comandato” su Trapani e la provincia è finita spesso associata alla sua persona. Lui è uscito dal silenzio protestando perché continuamente il suo nome viene accomunato a “malefatte” e “complotti”. Addirittura raccontati anche dall’ex moglie del parlamentare, la signora Picci Aula che però ha a suo tempo smentito alcune delle dichiarazioni riportate da un quotidiano nazionale, anche se chiamata poi davanti ai pm qualcosa l’ha dovuta ammettere sugli stretti rapporti tra l’ex marito e i mafiosi belicini.
Dentro al faldone processuale vi sono le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, si legge di appalti e campagne elettorali, di rapporti con imprenditori discussi come il valdericino Tommaso Coppola, condannato per mafia e appalti, o Francesco Morici uno degli indagati in un maxi filone di lavori pubblici finiti in mane mafiose. Un altro dei capitoli di indagine è quello relativa alla “cricca” che si sarebbe realizzata ai tempi dei lavori preliminari per rendere il porto di Trapani adeguato ad accogliere nel 2005 le barche a vela della Coppa America. Lì la mafia, lo dicono sentenze passate in giudicato, si infiltrò con le proprie forniture. Cemento, ferro, inerti. Propedeutica a non avere intralci sarebbe stata l’azione contestata anche al senatore D’Alì di avere “spinto” nel 2003 perché andasse via l’allora prefetto Fulvio Sodano, al suo posto giunse l’ex questore di Roma, Giovanni Finazzo che con D’Alì si mostrava apertamente come grande “amicone”. Il contrasto tra D’Alì e Sodano ci sarebbe stato all’epoca dell’intervento della prefettura a favore dell’azienda confiscata alla mafia Calcestruzzi Ericina.
“Sono una persona onesta e per bene – si difende D’Alì – Non avrei mai immaginato che a stabilire ciò dovrà essere il giudizio di un tribunale, oltre quello dei cittadini, che mi conforta, da sempre e con diverse espressioni manifestatomi. Ma va bene anche così”.
Il processo ha visto la costituzione come parti offese di alcune associazioni, quelle antiracket di Alcamo, Marsala, Mazara, Castellammare, del centro Pio La Torre, dell’associazione Libera. Solo per due il gup ha già dichiarato l’ammissione, sostanzialmente c’è anche per le altre e però alla prima udienza del rito abbreviato, il 5 ottobre, dovranno completare la produzione documentale a dimostrare le titolarità delle proposte costituzioni. Non è un processo qualsiasi – dice l’avv. Enza Rando che rappresenta l’associazione Libera – è un processo che punta a difendere la dignità dello Stato, la credibilità dello Stato, per questo c’è Libera perché è noto il suo impegno a difesa dei cittadini, che sono il vero Stato, “noi” cittadini”. L’attenzione di Libera è puntata sulla gestione dei beni confiscati. Tra le accuse al senatore D’Alì ci sarebbe quella di non avere gradito l’azione del prefetto Fulvio Sodano a favore di uno dei beni confiscati alla mafia più importante della provincia di Trapani, la Calcestruzzi Ericina. “Libera è l’associazione – ricorda l’avv. Rando – che ha difeso la legge sui beni confiscati, che ha raccolto le firme perché non venisse stravolta, Libera ha conosciuto l’impegno e il sacrificio del prefetto Fulvio Sodano che è stato a Trapani vero primo rappresentante dello Stato che vuole combattere la mafia”.
“Il lavoro di Libera – aggiunge il suo presidente don Luigi Ciotti – è innanzitutto quello di cogliere e portare in mezzo alla gente, anche nelle aule dei Tribunali, l’addolorato grido di dolore dei familiari delle vittime delle mafie che pretendono il rispetto del “bisogno” di giustizia e verità che appartiene anche a tutti “Noi”. In un processo dove emerge il presunto tentativo di un indagato, il senatore Antonio D’Alì, di rendere vana la legge sui beni confiscati alle mafie, Libera, che ha raccolto 1 milione di firme per la tutela e l’applicazione di una legge importante e fondamentale, nell’unico interesse della società civile responsabile, non potevamo non costituirsi parte civile per potere meglio conoscere la storia della mafia nella terra del latitante Matteo Messina Denaro, le cui mani, sporche del sangue di tanti morti ammazzati, oggi muovono i fili di una parte dell’economia, di imprese e sono capaci di intaccare il consenso elettorale per le connessioni coltivate da quella che in provincia di Trapani, e non solo, si chiama mafia borghese. Qui – prosegue don Ciotti – lo Stato non ha avuto sempre il volto che la Costituzione ha disegnato, ha conosciuto come volto di uomo fedele alle Istituzioni quello del prefetto Fulvio Sodano che il governo ha da qui allontanato nel 2003 proprio per la sua difesa dei beni confiscati dall’assalto delle mafie. Qui l’antistato spesso è stato lo “stato”, oggi vanno ristabilite le regole fondamentali della Costituzione, celebrare e partecipare a questo processo significa ripristinare le violate regole di convivenza”.
Tra le parti civili c’è un solo ente locale, il Comune di Castellammare del Golfo. Sindaco è un imprenditore, Marzio Bresciani, area centrodestra. Bresciani da presidente di Assindustria si era interessato a favore dell’imprenditore Vincenzo Mannina per far si che questi potesse comprare la Calcestruzzi Ericina, e per questa ragione incontrò l’allora prefetto Sodano che però decise di non farsene nulla di quella offerta. Tempo dopo Mannina fu arrestato per mafia. L’azione odierna del sindaco Bresciani potrebbe essere letta come volontà a riparare a quel suo intervento, nei fatti la presenza del Comune di Castellammare è legata ai lavori del porto sui quali sono emersi interessi mafiosi e “raccomandazioni” che sarebbero state esercitate dal senatore D’Alì. La costituzione di parte civile potrebbe essere letta anche come una crepa nel muro della solidarietà politica che ha sino a qui circondato il senatore D’Alì.