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CLAUDIO SARDO: “L’Unità da sempre grande scuola di giornalismo. Abbiamo ancora voglia di sfidare noi stessi”

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“Un nuovo giornale, che torna grande nel formato e nelle ambizioni: per dare più spazio e più ascolto alla società, al mondo del lavoro, ai giovani”. Così è stata presentata la nuova veste del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Ne parliamo con il direttore Claudio Sardo.

In un periodo in cui c’è crisi e tutto si restringe l’Unità amplia il formato. Una scelta che equivale a buttare il cuore oltre l’ostacolo?
“Un po’ sì. Devo anche ammettere che avevo intenzione di farlo già dal primo giorno in cui sono venuto qui. Ne ho parlato con i colleghi, lo abbiamo condiviso in redazione, ed è stato frutto di una discussione anche durante numerosi incontri pubblici o alle feste dell’Unità. Ho sempre voluto che questo desiderio si realizzasse, e sono sicuro – e ne ho avuto conferma in questi giorni – che c’è stato molto apprezzamento. Io credo che il formato tabloid adottato, il formato “berliner”, sia un prodotto che ha successo sul mercato, perché dà la possibilità  di proporre immagini come un giornale grande, dona maggiore autorevolezza alla testata e molti più spazi di approfondimento pur rimanendo abbastanza compatto. E’ sicuramente congeniale per la battaglia politica portata avanti da l’Unità. Poi abbiamo fatto un’altra scelta importante: abbiamo voluto dedicare la prima parte del giornale alla battaglia politica con notizie in primo piano, approfondimenti,  commenti, interviste, a cui segue poi una ripartenza del giornale, che classicamente abbiamo chiamato “U:”, che propone ulteriori approfondimenti, inchieste, cultura, grandi interviste e sguardi sulla società. L’Unità è stata sempre una grande scuola di giornalismo. Su questo terreno abbiamo ancora voglia di sfidare noi stessi.”

A proposito di sguardo sulla società, la domanda sull’antipolitica, anche se banale, è obbligata: come legge L’Unità i fenomeni elettorali delle ultime amministrative, soprattutto la vicenda Grillo?
“Non è un caso che abbiamo scelto come data d’uscita del nuovo giornale il giorno delle elezioni francesi. Si avvertiva la grande voglia di cambiamento. Io credo che ci troviamo adesso ad un bivio: da una parte bisogna guardare la Francia, dove si sono misurate due alternative politiche, entrambe europee, una però – quella di Hollande – con un carattere di forte cambiamento, una scelta di centrosinistra che punta ad innovare le politiche economiche d’Europa – che ci hanno portato alla paralisi ed alla crisi finanziaria -. Poi c’è un’altra strada da dover percorrere, quella, cioè, orientata verso la crescita e l’equità. Al di fuori di queste strade c’è soltanto il destino della Grecia, con il  suo sistema politico bloccato dall’obbligo di una grande coalizione permanente che di fatto blocca la politica economica del paese ed è ancora troppo succube delle decisioni dell’Europa – che, per me, sulla Grecia ha sbagliato tutto – ed ha portato all’esplosione di una protesta generalizzata che ha condotto il paese a questa paralisi. Anche le nostre elezioni amministrative comprendevano queste due strade. Io non credo nella lettura “Ha vinto Grillo, hanno perso i partiti”.

Quello Grillo è un partito?
Sì, lo era già da tempo e lo sarà sempre di più. Grillo è un professionista della politica, e come Berlusconi sta inventando nuove modalità d’espressione politica. Anche il suo carattere antisistema, con le sue uscite sull’Euro e sulla mafia, mi ricordano molto i Berlusconi e Bossi delle origini.  Quando mi chiedono dell’antipolitica la prima cosa che mi viene in mente è che noi l’abbiamo già vissuta, e che in questi vent’anni l’abbiamo avuta anche al governo. E forse proprio questo ha portato l’Italia al disastro: aver consentito all’antipolitica di andare al governo. L’antipolitica sono stati proprio Bossi e Berlusconi. Non so se Grillo seguirà o meno la stessa strada. Molto dipenderà dalla capacità della sinistra e del centrosinistra di costruire un’alternativa credibile, un reale progetto di cambiamento. Per questo ritengo che la fase di transizione del governo Monti dovrebbe essere sfruttata fino in fondo per riformare il sistema politico. Oggi si sente dire che la politica non è disposta a modificare la legge elettorale: questo sarebbe un disastro. Dopo le recenti elezioni bisogna assolutamente dare vita ad una competizione che produca alternative, così gli elettori saranno chiamati a fare una scelta importante per il Paese”.


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