Il programma televisivo ‘’Quello che non ho’’ andato in onda poco tempo fa su la7, nato dalla straordinaria idea del duo Saviano-Fazio, ha regalato al pubblico nell’ultima serata dello spettacolo una testimonianza vivida e terribilmente mordace racchiusa nell’esperienza di Giovanni Tizian, un giornalista di Modena che da Natale vive sotto scorta a causa della sua incessante ed instancabile attività giornalistica di denuncia delle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel ricco ed operoso nord. Così conduce il suo breve, ma intensissimo monologo incentrato su una parola dall’etimologia soave e dal retrogusto squisitamente spensierato: leggerezza. Una parola che però può trasformarsi in un lontano e agognato desiderio, un desiderio divenuto quasi irraggiungibile, metamorfizzato in miraggio.
“Quello che non ho è la leggerezza. La leggerezza del tempo improvvisato, non il tempo organizzato nel quale vivo; la libertà di girare a vuoto, senza meta per ore, insieme alla mia compagna”. Ecco che si presenta il primo effetto nefasto e caustico della denuncia mafiosa, una conseguenza micidiale e feroce che non lascia nemmeno il tempo di pensare che già cambia i tuoi modi di vivere, le tue abitudini, la tua quotidiana normalità. “La mia linea gotica è una linea interiore, che separa la libertà dalla sottomissione, il diritto del favore, gli interessi privati da quelli collettivi, l’ oblio dalla memoria. Io l’ho oltrepassata quando avevo sette anni, quando mi resi conto cosa volesse dire vivere senza padre, vivere senza ricordi di lui”. Ebbene questo è un passaggio cruciale e doloroso in cui emerge prepotentemente la potenza di chi ha una mente criminale, di chi uccide un uomo, un integerrimo funzionario di banca, Peppe Tizian, perché si era frapposto a chi il credito volevo ottenerlo con la pistola puntata alle tempie seguendo una logica folle ed alogica costringendo la sua famiglia ad arrendersi, ad emigrare verso l’Emilia, luogo, apparentemente, sicuro e lontano da un mondo meschino e vigliacco. Apparentemente. Perché adesso le carte in tavola si sono rovesciate e ciò da cui si era cercato un rifugio si riaffaccia con cattiveria ed ostinazione, alla luce del sole. Tutto sfugge. Si fa fatica a capire le congetture e gli strani meccanismi che muovono le cose della vita, indecifrabili ed inafferrabili.
La ‘ndrangheta che ti aveva portato via tuo padre, l’affetto più grande del mondo, ribussa alla tua porta ancora una volta, infastidita. “E questo paese democratico come può non sentire il peso dei numerosi giornalisti intimiditi dalle mafie, in molti casi precari e sfruttati. Non ho la leggerezza di fare finta di niente quando madri, padri, figli e compagni piangono ancora i loro morti ammazzati per mano dei clan”. Proprio al senso di dolore ecco che si aggiunge la comprensione della dura realtà di chi dovresti avere dalla tua parte e non sa nemmeno chi sei e cosa fai, la frustrazione e l’amarezza quasi prendono il sopravvento per lo sconforto, per un senso di frustrazione profonda e la consapevolezza di essere da solo contro un esercito. “Quello che non ho, e mi manca, è la leggerezza dell’aurora attesa sulla spiaggia di Bovalino, il mio paese”.