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Il nero sommerso della riforma del mercato del lavoro

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Più passano i giorni di degenza in Commissione Lavoro e Previdenza sociale del Senato del DdL sulla riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, più il testo sembra irrimediabilmente peggiorare. E dire che già la prima versione del DdL era pessima.

I Relatori Tiziano Treu (PD) – sì sempre lui, l’abbiamo già detto altrove – e Maurizio Castro (PdL) sembrano procedere come treni, incuranti delle critiche e contestazioni che lavoratrici e lavoratori autonomi, indipendenti e precari continuano a porre loro e all’opinione pubblica, sempre inascoltati e spesso isolati.

Soprattutto sembrano orientati a deprimere ulteriormente le condizioni di lavoro, spacciando micro-interventi di settore (su circa un decimo del lavoro autonomo, indipendente e precario) per un falso e inesistente universalismo; provocando un serio rischio di ritorno al nero di molte attività autonome-indipendenti, costrette a una sopravvivenza a rischio Working Poors; insistendo su forme di sanzioni e controlli che produrranno la scomparsa di molti lavori e dell’offerta di lavoro, andando ad ingrossare le fila di una disoccupazione, che si accompagna a quella già prodotta dall’attuale fase recessiva della crisi economico-finanziaria.

Siamo dinanzi al rischio che il fare saccente dei Professori di Governo perda ancora una volta il contatto con la realtà. Come avvenne nel 1997 col primo “pacchetto Treu”: e i protagonisti sono sempre gli stessi; a dimostrazione che in questo Paese non cambia mai nulla. Con l’aggravante che qui siamo in una condizione di depressione economica ed esistenziale che meriterebbe non solo un’altra classe dirigente, ma soprattutto una maggiore sensibilità sociale.

I tre/quattro punti critici di partenza rimangono tutti:

* aumento dell’aliquota INPS Gestione Separata per le partite IVA (dal 27% al 33% nei prossimi anni);
* ASpI (Assicurazione Sociale per l’Impiego) peggiorativa dell’attuale sussidio di disoccupazione, che di fatto esclude milioni di lavoratrici e lavoratori non impiegati in lavori standard da qualsiasi garanzia sociale;
* assenza di una qualsiasi ipotesi di “equo compenso” per le prestazioni lavorative autonome a rischio di ricatto della retribuzione, dentro una crisi che precipita alcuni settori del lavoro autonomo verso condizioni da Working Poors;
* esclusione di una qualsiasi forma di garanzia del reddito di base, intesa almeno come misura universalistica di protezione sociale.

Gli emendamenti che i suddetti Relatori Treu e Castro hanno accolto peggiorano ulteriormente un quadro già disarmante.

Sembra propongano un salario minimo, di base per i cd. “lavoratori a progetto”, le/i Co.Co.Pro – circa 700 mila nel 2010, con un reddito annuo inferiore ai 10 mila euro (secondo i dati Isfol rimangono esclusi tutti gli altri titolari di contratti atipici e le partite iva, Co.Co.Co. pubblici, iscritti agli ordini, etc).
L’emendamento prevede che il compenso “dovrà essere adeguato alla quantità e qualità del lavoro eseguito” e non potrà comunque essere inferiore “all’importo annuale determinato periodicamente dal Ministero del Lavoro“, con Decreto Ministeriale, in base ad un parametro economico che permetta una remunerazione che sia nella media tra le retribuzioni minime del lavoro autonomo e quelle previste dai Contratti Collettivi di Lavoro Nazionali (CCLN) per i lavoratori subordinati.
Dove andranno a cercare le tariffe minime per il lavoro autonomo visto che non esistono?
Quale sarà il livello mediano che permetterà la definizione di salario minimo?
Sicuramente inferiore a quello previsto dai CCNL: così si favorirà l’esternalizzazione-precarizzazione dei rapporti di lavoro nella grande impresa (nella piccola impresa e nella PA è già così da almeno un ventennio), che potrà pagare di meno i lavoratori mettendoli “a progetto”.
Non considerando che l’eventuale primo Decreto Ministeriale verrà adottato entro un anno dall’approvazione della legge: insomma dovremo aspettare il nuovo Governo post-2013 e il 2014, se va bene.

Nel frattempo si parla anche di sperimentare un’indennità di disoccupazione per i Co.Co.Pro – quindi sempre quei 700 mila a fronte degli oltre 5 milioni di lavoratrici/lavoratori intermittenti-indipendenti – che dinanzi a un periodo di lavoro oscillante intorno all’anno potranno percepire – forse – circa 6 mila euro di sussidio, in caso di perdita del contratto. Ma è una sperimentazione di tre anni; sempre a partire dal 2014 o forse dal 2015, poi, con candore il Ministro Fornero osserva: “Se l’economia si riprende, comincia a crescere e i redditi dei lavoratori crescono un po’, allora forse si può passare, dopo questi tre anni di sperimentazione, a un ammortizzatore sociale che somiglia di più a quello che l’Europa ci chiede“.

Proprio perché è un Ministro della Repubblica a parlare, dal tono e dall’esperienza professorale, ci sarebbe da vergognarsi, da scappare a nascondersi in capo al mondo, pur di fuggire a un tale pressapochismo, a una sciatteria piena della sicumera di chi pensa di avere a che fare con dei poveri disgraziati da ammansire con invocazioni speranzose sulla ripresa economica (mentre l’Italia entra nel quarto trimestre di recessione) e vaghi riferimenti all’Europa.

Sappiamo benissimo che l’Unione europea da anni chiede all’Italia l’introduzione di un modello sociale più adeguato alle trasformazioni delle forme del lavoro, a partire dalla previsione di un reddito garantito di base, ancora più urgente dinanzi a una crisi che condanna alla disoccupazione di massa quasi il 35% dei giovani e – attualmente – oltre 3 milioni di persone.
Ma l’Italia resta il panda d’Europa.

E il nostro Ministro del Lavoro – insieme con i suoi Relatori parlamentari – non hanno ancora capito che gli oltre 5 milioni di lavoratrici e lavoratori che per il Governo e la legislazione sono ancora definiti come “atipici” sarebbero la ricchezza sulla quale investire per pensare un nuovo modello di società contro e dopo la recessione economica e la depressione esistenziale in cui è precipitato questo Paese.

Invece si pensa a come controllare-restringere-ridurre le Partite IVA, come imporre normativamente l’egemonia del contratto di lavoro subordinato, inteso come contratto prevalente; scherzando col fuoco di far ripiombare tutto nel sommerso e nel lavoro nero, ancor più di quanto già non sia diffuso (un terzo dell’economia reale? Oltre duecento miliardi di euro all’anno?!). Incrementando illegalità, malavita, sommerso, lavoro irregolare, nuove e vecchie forme di ricatto, prevedendo radicalmente il contrario di quanto imporrebbe una progressiva inclusione di nuove garanzie per i nuovi lavori. Regalando altre porzioni di questo Paese alla malavita organizzata, ancora una volta.

Ministro e Relatori sembrano convinti che questi lavoratrici e lavoratori possano essere ancora saccheggiati – con l’ulteriore riduzione dei loro redditi a causa dell’aumento dell’aliquota INPS; esclusi dalle tutele minime di una cittadinanza sociale; derisi e ridicolizzati nella pretesa di interpretare le loro contestazioni come una vana richiesta di assunzione a lavoro subordinato.

Ma questa volta le/gli indipendenti, autonomi, flessibili, intermittenti sono pronti a prendere da soli dignità, diritti, reddito, libertà. E intanto continuano a stare con il fiato sul collo a questi tristi legislatori, memori di Saint-Just, almeno dei suoi scritti:

“Chiunque voi siate, o legislatori, se io avessi scoperto che avevate in animo di assoggettarmi, sarei fuggito da una patria infelice e vi avrei coperto di maledizioni”.

Ma noi rimaniamo qui, una fuga sul posto, da furiose/i; e alle maledizioni preferiamo il controllo dal basso, l’informazione, l’azione critica, l’auto-organizzazione e la cooperazione sociale delle/gli indipendenti, contro legislatori, professori, tecnici, quanto sprezzanti e saccenti possano essere e apparire.

Noi siamo dalla parte della vita degna e felice; contro tutte le mortificazioni e penitenze. E questa volta ci prenderemo quello che ci spetta.

Tratto da http://www.ilquintostato.it


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