“Speciale TG. La messa è finita”. Un titolo suggestivo per dire che i principali telegiornali serali sono in crisi di ascolti. Perché il rito del telegiornale serale è finito? E’ solo colpa delle reti all news, dell’ informazione on line e su smartphone, oppure è quel modello che non piace più? Nel volume, curato dal prof. Giorgio Simonelli e da un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica di Milano, sotto esame ci sono il TG1 e il TG5 tallonati dal neo arrivato TG la7. Si parte dalla nascita del Telegiornale e si arriva sino ad oggi passando attraverso le grandi trasformazioni dell’informazione con l’arrivo della tv commerciale e poi dell’all news. Ma non si tratta solo di un’attenta osservazione delle tecniche di linguaggio televisivo adottate dai principali telegiornali italiani, nel libro si parla anche della perdita di credibilità che ha investito i tg, per il troppo bisogno di intrattenere piuttosto che informare. Parlando del TG1 si definiscono fallimentari le scelte minzoliniane: lo stravolgimento dell’ identità del TG1, con la scomparsa di quell’atteggiamento moderato capace di mediare tra le varie posizioni presenti nella società e le diverse letture del mondo che cercava di farne “il tg di tutti gli italiani”. Unpatrimonio dilapidato in un paio di stagioni.”
Nel volume si propongono confronti con varie situazioni europee ed extraeuropee attraverso testimonianze di professionisti dell’informazione. Un libro utile per ragionare su come andare oltre questi tg ancorati ad un format vecchio incuranti del fatto che alle 20 la gente oggi già conosce i fatti accaduti durante il giorno e chiede soprattutto di capire.
Professor Simonelli, se Sparta piange Atene non ride. Se la politica è in default, anche l’informazione, soprattutto al livello dei Tg impastati dalle scorie dei partiti e delle lottizzazioni, porta dati negativi. Soprattutto i “gemellini” dell’etere – Tg1 e Tg5 – ormai non fanno altro che a gara per i sorpassi in discesa…
“Per i “gemellini” credo che il motivo principale sia una cattiva gestione dei Tg che, fino a non molto tempo fa, avevano risultati ragguardevoli, ma che poi si sono decisamente appiattiti – per usare un termine eufemistico- e sono diventati telegiornali molto prevedibili. Quindi, tenendo conto che il pubblico è già molto informato, perché il contesto è quello di un’ ipertrofia dell’informazione, un pubblico già formato da altri media avrà bisogno di Tg molto più originali per continuare il rito della cena con il telegiornale. Così, Tg generalisti molto piatti, con l’assenza di figure giornalistiche di spicco, inevitabilmente perdono non solo credibilità, ma anche appeal.”
Che sia politica o anti politica, la novità del panorama è quella di Grillo. L’equivalente per l’informazione televisiva – che, ricordiamo, raggiunge il 75% degli italiani e in qualche misura ne forma, o ne deforma, la rappresentazione della società – è un soggetto abbastanza “strano”. Paradossalmente l’entrata in campo di Tg La7, con i grandi successi fino al novembre del 2011 ora fortemente ridimensionati, rappresenta un ancoraggio ancora più ferreo al mondo della politica, anche se svolto con grande professionalità…
“Il corrispondente di Grillo nei telegiornali, almeno secondo alcuni, è Striscia la Notizia. Anzi, è Grillo che è riprende Striscia la Notizia, nel senso che gli atteggiamenti di Grillo, sempre secondo alcuni, hanno la stessa matrice del programma di Ricci. Potrei anche dire che c’è un po’ di “Blob”, per restare ai modelli televisivi. Quanto a Mentana, sicuramente ha rappresentato una novità nel modello di enunciazione e nella conduzione. E’ tornato un tg molto interpretativo che non vedevamo più, forse, dai tempi del Tg3 di Curzi. Poi, finito un certo clima politico e finita anche la novità, questo Tg La7 si è attestato su risultati inferiori ai primi mesi, rimanendo però sempre a livelli ragguardevoli”.
Ha toccato il 14% di share, adesso è intorno al 9% medio…
“E’ sempre un bel risultato, ma soprattutto – paradossalmente – questo, che è il tg con un modello più vecchio, appare il più originale, quello che si distacca di più nel modello di conduzione, nello stile dei servizi, da quelli che sono stati i Tg prevalenti nelle ultime stagioni.”
Professore, cosa dire della nostra collettiva “vedovanza” rispetto al Tg4 di Emilio Fede? Ormai sono 2 mesi che non abbiamo questo “rito quotidiano” abbastanza ripetitivo del Fede-pensiero alle 18 e 55. Cosa le sembra del nuovo Tg4?
“Se volessimo scherzare diremmo che ci manca Emilio Fede, ci mancano tutte le sue esibizioni, ci mancano le sue informazioni sull’influenza, sul raffreddore da fieno, sul tempo e le sue gags con la redazione. Sicuramente adesso il Tg4 è finalmente un tg che tratta correttamente le notizie. Però bisogna anche dire che, a differenza di quanto è accaduto con il Tg La7, non è andato a proporre un nuovo modello, qualcosa di originale e di diverso. E’ un tg che per ora non ha trovato una sua identità, è un tg “supplente”. Ecco, mi sembra che ci sia la supplenza di un vuoto che si è venuto a creare improvvisamente, che però non ha maturato ancora una sua linea e una sua identità.”
I titolo del suo lavoro à “La messa è finita”. Queste parole riportano in auge non solo la liturgia cattolica, ma anche il titolo di un bellissimo film di Moretti che rimanda ad una lettura sicuramente preoccupata del sistema dell’informazione pubblica e privata. A suo giudizio, quale conoscitore ed analizzatore complessivo dei media, quanto sarebbe importante avere un’informazione fresca, vivace, non paludata, senza padroni per la rinascita e la ricostruzione del Paese?
“Sarebbe fondamentale avere un’informazione attenta, vivace, che non ripete lo stesso modello per 10 reti diverse. Fondamentale, poi, sarebbe avere un’informazione divisa per punti di vista, un’informazione che privilegi magari la cultura come chiave di lettura; un’informazione che privilegi l’economia, un’altra che privilegi gli esteri. Bisognerebbe avere dei Tg regionali – o macro regionali- che non si limitino a raccontare le storielle del territorio, ma raccontino il mondo dal punto di vista di quel territorio. Sarebbe bello tutto questo, e ci porterebbe ad avere un Paese davvero informato, che partecipa alla vita democratica, e che non si accontenta di alcuni riti che, come dicevano all’inizio, diventano oltretutto liturgie sempre più vuote e stanche, delle messe a cui non si “va” più, o a cui, se si partecipa, lo si fa distrattamente. Non si vede l’ora che finiscano e non si crede neanche più tanto a quello che viene proposto e raccontato”.
* Giorgio Simonelli, Professore associato di Giornalismo radiofonico e televisivo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano