La parabola di Equitalia, passata in pochissimi anni dall’acquisizione pressoché monopolistica della riscossione delle tasse in morosità, alla rescissione in massa degli appalti da parte delle amministrazioni creditrici… è di quelle che inducono ad attenta riflessione per evitare in futuro gli errori che ne hanno costellato il percorso.
Il primo errore è stato quello di aver applicato, alle vecchie morosità, metodi recuperatori innovativi come l’ipoteca fiscale e il fermo amministrativo dei veicoli.
I metodi “soffici” delle vecchie esattorie consentivano una certa elasticità ai contribuenti i quali, se in crisi di liquidità, non di rado trascuravano il pagamento delle imposte pur di remunerare maestranze, locazioni e utenze senza le cui prestazioni l’intrapresa sarebbe evaporata immediatamente. L’aver bruscamente interrotto questa prassi ha portato ad una criticità che sta contribuendo alla chiusura di molte aziende ed alla delocalizzazione di altre, con conseguente aumento della disoccupazione e l’insorgere di un evidente declino economico del Paese.
Un secondo errore è consistito nell’attribuire a Equitalia il compito di inflessibile pubblicano per il recupero di tasse destinate ad alimentare un’offerta di servizi pubblici inefficienti, con spese a volte inutili, a volte piene di sprechi e, comunque, destinate molto spesso a perpetuare intollerabili privilegi. Basti ricordare al libro “La Casta” – che non tutti hanno avuto lo stomaco di leggere sino alla fine – per domandarsi perché sia stato scritto da Sergio Rizzo e Gianantonio Stella e non, invece, dalla Corte dei Conti: non era forse quest’organo che avrebbe dovuto informarci dei contributi pubblici versati alle Comunità montane istituite sul livello del mare?
Adottare metodi di riscossione draconiani senza neppure tentare di intervenire sul versante della spesa pubblica si è rivelato intollerabile, radicando ancor di più la ripulsa verso la tassazione.
Il terzo errore è stato prettamente politico: spremere i contribuenti per incrementare la spesa pubblica, e non per diminuirla, ha conculcato la speranza che ai sacrifici dell’oggi corrispondesse il sollievo nel domani.
L’insieme di questi errori, di cui assumere il tratto esemplificativo e non certo quello tassativo, ha portato ad un ulteriore errore, forse il più grave di tutti: aver trascurato che intorno al pagamento dei tributi si sviluppasse la cultura della solidarietà sociale.
Quest’ultimo errore è proseguito anche nel primo periodo del governo Monti.
Può ammettersi che cambiare la cultura degli italiani sulle tasse è impresa assai ardua.
Nel paese in cui non si riconosce neppure la comproprietà condominiale, tanto che in gran parte d’Italia i pavimenti di casa propria sono calpestabili solo con le pattine, mentre la porta di ingresso affaccia su pianerottoli lasciati lerci sol perché di proprietà comune, diventa effettivamente un compito improbo far accettare che una parte del proprio patrimonio vada al fisco per il bene di tutti.
Eppure è da qui che si deve partire e la nomina del commissario Enrico Bondi per la spending review è forse il primo atto del governo Monti generalmente condiviso.
C’è solo da augurasi che il successo arrida al più noto dei “ristrutturatori” per poter scalfire quella diffusa convinzione secondo cui “A morì e a pagà c’è sempre tempo”.
Ciò è tanto vero che quando l’aggressività di Equitalia sembra non lasciare più scampo, le morti dei suoi debitori si moltiplicano.
Equitalia si difende affermando di dover rispettare la legge, ma sempre di più si ricordano oggi che la prima delle leggi fu quella della violenza.
Il paradosso sta proprio nel vedere che la tassazione proporzionale, costituzionalmente ispirata alla ridistribuzione dei redditi e, quindi, anche per scopi solidali, si sta avvitando in una spirale di violenza: suicidi, attentati esplosivi, sequestri armati… E’ chiaro che non si può andare avanti di questo passo e una soluzione rapida si impone.
Equa, però. Non Equitalia !