Milton Friedman (1912-2006), economista statunitense e Premio Nobel nel 1976, è stato il maggiore esponente della Scuola di Chicago. Il suo pensiero ha influenzato fortemente le scelte economiche del governo britannico di Margaret Thatcher e di quello statunitense di Ronald Reagan. Le sue teorie di un capitalismo puro si pensava non fossero applicabili alle democrazie mature, le quali avrebbero rispedito a casa i politici che avessero voluto adottarle, ma erano benvenute nelle dittature di destra.
Infatti, nella metà degli anni ’70 il Ministero dell’Economia del Cile di Pinochet, presieduto dal tecnico José Pinera, le adottò avvalendosi dei consigli dello stesso Friedman e assumendo i “Chicago boys” (economisti cileni formatisi alla Scuola di Chicago), provocando disoccupazione e miseria. La Thatcher però dimostrò che tali teorie potevano essere applicate anche in una democrazia occidentale, sfruttando un momento di grave crisi politica come la guerra nelle Falkland (1982) e lo sciopero dei minatori (1985).
Ciò diede la stura alle teorie iperliberiste e inaugurò un nuovo tipo di capitalismo: quello dei disastri. Per chi volesse approfondire consiglio il saggio di Naomi Klein “Shock Economy”. Inoltre, la regola di politica monetaria di Friedman, incentrata sul controllo della crescita della massa monetaria, è ancora adottata dalla Federal Reserve e dalla BCE.
Come risposta alla crisi del ’29 che aveva messo in ginocchio diverse Banche, il Congresso degli Stati Uniti nel 1933 varò la legge bancaria Glass-Steagall Act; ma nel 1999, con la promulgazione della legge bancaria Gramm-Leach-Bliley Act da parte dell’allora Presidente degli USA Bill Clinton, essa viene abolita. In tal modo si avviò lo stesso micidiale meccanismo finanziario speculativo deregolato di allora, che è sfociato nell’attuale crisi.
La Glass-Steagall Act introduceva misure che limitavano la speculazione degli intermediari finanziari, separando nettamente le attività bancarie tradizionali e quelle di investimento (cioè una Banca poteva essere solo commerciale o d’investimento), e i panici bancari, cioè la corsa agli sportelli, con l’istituzione della Federal Deposit Insurance Corporation. Una volta abrogata si costituirono gruppi bancari che al loro interno permettono, seppur con alcune limitazioni, di esercitare sia l’attività bancaria tradizionale che l’attività di investimento bancario e assicurativo.
Ciò determinò le disastrose bolle speculative dei primi anni del 2000, che insieme alla politica del credito con bassi tassi d’interesse (variabile, che poi s’impenna tragicamente) per stimolare la cosiddetta “economia del debito” e soprattutto con la proliferazione dei “subprime” (prestiti concessi a debitori con pregressi problemi di solvibilità e quindi ad alto rischio d’insolvenza), sfocia nella grave crisi economica del 2008, con il fallimento di importanti Banche statunitensi che trascinarono nella crisi il mondo intero, dato l’avanzato stato di globalizzazione dell’economia. Ree di tutto ciò anche le agenzie di rating che dovrebbero fornire dati reali sull’affidabilità o meno di ciò che ruota attorno al mondo finanziario, assegnando invece la tripla A (massima affidabilità) ai titoli tossici sui mutui americani responsabili della crisi.
A quanto pare il mondo s’è ridotto a un enorme e micidiale intreccio di conflitti di interessi privati, che di fatto hanno svuotato il nobile concetto di democrazia del suo reale significato. L’ambiguo ruolo delle Banche Centrali ne è un esempio, con la loro totale indipendenza dai governi sulle politiche monetarie da attuare, specie quello della BCE che grazie al suo statuto, che è un vero mostro giuridico, insegue unicamente l’obiettivo della stabilizzazione dei prezzi per evitare fenomeni d’inflazione; cosa che riduce drammaticamente la liquidità in circolazione.
La BCE poi lascia l’onere della crescita alle politiche fiscali dei singoli Stati, accomunati dall’euro ma non da una politica fiscale, i quali, per avere liquidità sono costretti ad aumentare i prelievi fiscali e il Debito Pubblico. Saranno dei validi motivi, ma una Banca Centrale che non ha ingerenze statali e per di più indirizza, o detta tramite letterine ai governi (magari costituiti da tecnici con un passato di banchieri) le politiche economiche, di fatto inficia le democrazie. Le Banche Centrali indipendenti sono nate, o tali si sono trasformate, per limitare la discrezionalità degli Stati di creare moneta, specie quelli politicamente più instabili, che abusandone potevano determinare pericolose inflazioni o iperinflazioni. Tale rischio si palesò dopo l’abbandono del sistema aureo classico, quando la creazione di denaro era vincolato dalla quantità delle riserve auree in possesso dello Stato, non più sostenibile con l’aumento dei volumi di scambio delle merci; abbandono seguito alla Conferenza di Bretton Woods del 1944, nella quale si istituirono l’FMI e la Banca Mondiale, ratificati da un certo numero di Paesi nel 1946… (CONTINUA)