Nei giorni in cui tutti ricordano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, anche chi li ha sempre attaccati, delegittimati, isolati; nei giorni in cui a Corleone vengono celebrati i funerali di stato di Placido Rizzotto, il sindacalista ucciso da cosa nostra 64 anni fa e nell’omelia non viene mai pronunciata la parola mafia, un libro e un film documentario ci racconta la storia, senza commenti e senza retorica, di tanti uomini soli.
E’ la storia di Palermo, una citta’ tormentata dalle stragi, dalle bombe, dai funerali di stato. E’ la storia di carabinieri, poliziotti, politici, magistrati che in solitudine hanno portato avanti la lotta contro cosa nostra. Un viaggio doloroso quello di Attilio Bolzoni e Paolo Solentino attraverso le strade di Palermo, i vicoli dove “una volta c’erano i morti e ora ci sono le lapidi”. tante, troppe lapidi.
Che non sara’ un viaggio facile, e’ chiaro fin dall’inizio del film che si apre con la sala auopsia e la testimonianza del medico legale “si, e’ stata dura” e chiude con un elenco interminabile di nomi, quello di tutte le vittime di mafia. In mezzo le storie di persone normali, persone per bene lasciate sole a combattere. Erano gli anni 80, quelli in cui non esisteva il reato di associazione mafiosa, i boss non venivano mai condannati all’ergastolo, si negava persino l’esistenza della mafia , gli strumenti in mano a investigatori e magistrati erano veramente pochi.
Racconta Francesco Accordino, collega di Cassara’, dirigente della squadra mobile di Palermo ucciso dai boss, che per fare i pedinamenti usavano l’auto del padre di Cassara’, la targa era quella di un’altra auto, il cui proprietario era deceduto. A volte pedinavano i criminali in motorino. “Era una lotta alla mafia personalizzata” dice.
Cassara’, Montana, Chinnici, La Torre, Dalla Chiesa…..Bolzoni le loro storie le racconta attraverso le testimonianze di colleghi, amici e familiari. Il film ci mostra le immagini del funerale di Pio la Torre, segretario del Pci siciliano, assassinato il 30 aprile del 1982, le lacrime dei familiari, del presidente Pertini, di Enrico Berlinguer e di tanta gente comune. “Era pericoloso Pio La Torre –dice il cronista- si era messo in testa che essere mafioso doveva diventare reato”. Si deve a lui, o meglio, alla sua uccisione –come sottolinea il figlio franco- la legge sul reato di associazione mafiosa.
Un cartello ci porta dentro un ‘altra storia. C’e’ scritto “qui e’ morta la speranza dei cittadini onesti” . E’ il 3 settembre del 1983. Il cartello e’ messo accanto a un’auto , una a112 all’interno della quale e’ stato assassinato, insieme alla moglie, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Un prefetto con grande esperienza nella lotta al terrorismo, mandato in Sicilia a combattere la mafia. Non ebbe mai i poteri speciali che gli erano stati promessi.