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Crisi. Quando il lavoro diventa “questione di vita o di morte”

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La crisi che strozza, aziende costrette a chiudere, licenziati, cassintegrati e… quei pensieri nefasti che spingono alcuni a rinunciare alla vita. Le voci di due imprenditori, uno del nord e l’altro del sud, per capire cosa significa sperimentare il tutto sulle propria pelle…

“Il compito è appena cominciato, ci battiamo ogni giorno per continuare a evitare un drammatico destino come quello della Grecia. Le cifre di questi giorni danno il bilancio della devastazione che la crisi ha portato alla Grecia, anche là molto più che in Italia per gravissimi errori di condotte del passato. E’ lì ci sono stati tagli enormi nel numero dei dipendenti pubblici, negli ultimi due anni, ci sono stati 1725 suicidi. Questo e’ quello che in Italia cerchiamo di invertire per non precipitare in quel precipizio”

Sono le parole del Presidente del consiglio Monti pronunciate il 18 aprile 2012, avrebbero dovuto dare un messaggio ottimista, ma non hanno prodotto nessun effetto positivo, perché, da quel giorno i suicidi sono continuati e forse i media hanno anche privilegiato questo genere di notizia.

Come spiegava Ilvo Diamanti in un articolo di qualche giorno fa su La Repubblica, i suicidi ci sono sempre stati. Infatti come dichiarano gli economisti senza microfono la crisi non è sicuramente da attribuire all’attuale Governo tecnico, ma è cominciata anni fa.

Ho intervistato e messo a confronto due imprenditori, due imprenditori indotti a fare cattivi pensieri, sono due voci che rappresentano il Paese nella sua territorialità: Giuseppe Iudici pugliese e Daniele Vignandel friulano. Giuseppe mi spiega che il lavoro per lui è come il Vangelo che non tradisce mai se ci si impegna, lui è partito da zero ed è riuscito a dar lavoro a dodici persone.

Daniele lo intende come libertà: “Libertà non intesa come “liberismo”, ma libertà di dimostrare i tuoi valori e le tue capacità, prima di tutto a te stesso e, poi, ad altri nel rispetto delle regole” Gestivano due attività fiorenti, uno nel campo dell’estetica e l’altro dell’informatica, sicuramente due persone lungimiranti perché la nostra società è basata proprio sulla rincorsa al bello e alla tecnologia di ultima generazione.

MA… “Un Giuda mi ha tradito: le banche. Mi hanno cominciato a chiedere di rientrare -afferma Giuseppe- mi hanno tolto agevolazioni di sconti fattura o fidi. In generale è stata la banca a farmi chiudere perchè non finanziando più gli italiani, abituati a produrre  dai tempi della famosa cambiale, questa chiudeva le porte anche ai miei nuovi clienti, non concedeva credito e quindi di fatto bloccava l’economia che avrebbero creato. Hanno fatto chiudere la mia azienda per mancato incasso e non per mancata capacità”

Stessa cosa, a migliaia di chilometri, accade a Daniele: “Tutto inizia se ti accorgi che non riesci a far fronte al tuo fido e “sforando” di continuo ti vengono addebitati costi allucinanti e chieste sempre maggiori garanzie per poi sfociare nel classico: «Ok dobbiamo appianare tutto il debito o procediamo al fallimento… » Arrivati a questo punto, veramente non sai che fare. Lo sconquasso che si crea a casa diventa terribile se la situazione con la tua compagna era già difficile, se, come nel mio caso, hai un bambino “diverso” da aiutare. La frattura diventa insanabile eppure devi rimanere lucido per tuo figlio che non può difendersi, per il senso del dovere che deve esserci in ognuno di noi e per l’istinto di sopravvivenza che ti prende”

Giuseppe, spaventato dall’idea che potesse diventare un numero in meno, ha scritto un appello disperato ad un quotidiano on line Affari Italiani, la sua lettera è stata pubblicata ed in breve tempo ha avuto risonanza in rete ed in televisione: è stato invitato nel programma In mezz’ora di Lucia Annunziata.

Giuseppe spiega quali sono i cattivi pensieri che portano al gesto estremo: “Il suicidio è la tappa finale di un successo, di una normalità, di una responsabilità nei confronti dei lavoratori e dei tuoi figli. Tutto si trasforma in un terribile incubo. Sono complici del suicidio la solitudine, l’impotenza e l’indifferenza a risolvere un problema. Pensi al suicidio come la fine di quell’incubo che dura da mesi o anni. Io ci pensavo la notte in solitudine, ma svegliandomi la mattina guardavo i miei figli  che mi davano la forza di reagire.”

Anche Daniele ha trovato la forza di reagire nell’amore di suo figlio e della sua nuova compagna dopo aver maturato gli stessi intenti di Giuseppe: “Il percorso non è immediato, ma se il credito si chiude inizia un’agonia impressionante. Ogni giorno hai il terrore di rispondere al telefono, il postino è un incubo e se lavori sempre meno ti senti rinchiudere la vita in una prigione senza sbarre, ma più crudele di esse: c’è l’indifferenza di chi ha lavorato con te e ora ti azzanna senza pietà notando per primo le tue difficoltà. Questo è condensato in poche parole, ma è un percorso che dura anni nel quale ti senti inutile, sbagliato, stupido ma soprattutto non riesci ad essere lucido per trovare soluzioni che non ci sono fino al punto di dire: voglio dormire e non svegliarmi più. Lo fai senza pensare alla morte in sé, ma solo il desiderio di dormire dopo anni di sonno mancato, sorrisi spenti, vita senza futuro per te e per tuo figlio. Vedi la scatola e dici…. ma sì, mi addormento e non ci penso più”

Dopo esser riusciti scacciare i cattivi pensieri si deve continuare a vivere.  Giuseppe sottolinea che non vive, ma sopravvive vendendo oggetti acquistati quando poteva permetterselo: “Oggi si usa molto vendere oro o oggetti nella speranza che qualcosa accada” Forse in questo gesto si denota la vera crisi, quello che è già successo in Grecia e in Portogallo, la nascita dei vari punti compro/vendo oro sono un segnale inequivocabile: l’appiglio finale. Giuseppe grazie anche al suo appello è riuscito ad intercettare molti imprenditori, famiglie strozzate dalle difficoltà e, oltre a condividere con loro questa situazione, ha dato vita ad un movimento/fondazione.

È  convinto che si possa ridurre il degrado sociale e, non solo propone delle soluzioni, ma si sta impegnando per metterle in pratica: “Sono in trattativa con un albergo chiuso che ha licenziato 37 dipendenti, il gestore mi ha fatto una proposta di unire gli imprenditori in crisi in una fondazione per riaprire l’albergo e dare lavoro alle 37 famiglie. C’è anche l’idea lanciata da Affari italiani di una banca onlus per dare microcredito e finanziamento alla piccola imprenditoria”

Anche Daniele ha la sua ricetta per dare una spinta all’Italia e soprattutto agli italiani: “Comprare obbligazioni dello Stato significa indebitarci ancora di più perché di fatto questo è accaduto con il prestito all’ 1 percento concesso dalla BCE alle banche italiane, quest’ultime invece di usarlo per poter concedere crediti hanno comperato titoli di stato al 2,7 percento. Né più e né meno quello che ha portato al default della Grecia. Gli italiani dovrebbero capire che la borsa non esiste e non esistono soldi che crescono da soli nei portafogli. Mentre le banche dovrebbero svolgere un ruolo diverso, dovrebbero essere al servizio della crescita e non della finanza relativamente creativa. Dovrebbero essere le prime a credere negli imprenditori e rivedere il protocollo di Basilea che di fatto limita l’accesso al credito, altrimenti bisogna pensare ad una nazionalizzazione temporale o parziale delle banche.”

I nostri piccoli imprenditori hanno le idee ben chiare, però denunciano di non essere ascoltati, mancano gli interlocutori per poter, quanto meno, presentare le loro soluzioni. Un amministratore delegato di banca come Ministro sta dimostrando che non è sufficiente per invertire la rotta che ha preso l’Italia, certo, è vero pure che un imprenditore ha affossato il Paese, ma oggi c’è bisogno della cooperazione di tutti, le stesse associazioni di categoria dovrebbero farsi portavoce delle difficoltà della piccola e media imprenditoria perché, quello che emerge da queste due testimonianze, i piccoli imprenditori si stanno aiutando da soli, si sentono abbandonati, proprio loro, che hanno contribuito al benessere economico di una Nazione.

Non è più tempo di scongiuri, non basta dire che non stiamo ai livelli della Grecia, bisogna adoperarsi affinché non ci si arrivi, tant’è che oggi Syriza, leader della sinistra greca, propone in caso di vittoria di elezioni, di rinegoziare il debito con la Bce e stracciare l’accordo fatto dal precedente governo socialista. Non dimentichiamo che l’Islanda si è salvata perché non ha accettato l’aiuto dal Fondo Monetario Internazionale, così come ha deciso il Popolo con un referendum libero e democratico.


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