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Crisi umanitarie, la rimozione continua. “Break the silence”

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Dall’ottavo rapporto di Medici Senza Frontiere sulle crisi dimenticate niente di nuovo, solo conferme e dati aggiornati: le crisi umanitarie continuano a essere dimenticate, relegate nel buio del cono d’ombra dell’informazione. Vale per tutti, dai Tg di Mediaset a quelli del servizio pubblico della Rai alla speranza legata al fenomeno de La7. Il provincialismo continua ad essere la caratteristica dei media italiani con particolare accentuazione dei Tg.

Qualche dato sui servizi dedicati ad alcune delle più gravi crisi umanitarie del 2011: 5 in tutto quelli sulla Repubblica Democratica del Congo, 10 sulla Costa d’Avorio, 24 sul Bahrein, 41 alla drammatica carestia in Corno d’Africa, 44 al Sudan e Sud Sudan. Niente a che vedere con le 413 notizie dedicate alle nozze reali di William e Kate.

E alcuni di questi hanno trovato spazio solo perché c’era qualche personaggio noto che si era fatto portavoce di battaglie per i diritti, come George Clooney in Sudan, o qualche evento come il Gran premio di Formula 1 che ha permesso di alzare il velo su un paese ignorato.

Ma il provincialismo dei nostri Tg emerge con forza anche nell’ambito della salute. È stridente il confronto tra le 14 notizie date sulla pandemia di Aids che sta falcidiando intere generazioni in Africa e i 92 servizi sulla nostra influenza stagionale. L’Aids è ormai invisibile. Uscito dalle agende della politica, si è rapidamente dileguato dall’informazione televisiva. Ignorata la giornata mondiale dedicata all’Aids da tutte le TV, che hanno trovato modo di parlarne soprattutto in relazione ai viaggi del Papa.

Ma la ricerca di Medici Senza Frontiere, realizzata con l’Osservatorio di Pavia, è andata a fondo anche sul fenomeno dell’immigrazione, questo sì oggetto di attenzione. Nel 2011 – con l’arrivo dei migranti in fuga da Libia, Tunisia e Egitto – sono state dedicate 1391 notizie. Qui il problema non è il silenzio, ma il modo in cui il fenomeno è stato rappresentato.  A cominciare dalle parole che sono le stesse dei racconti di guerra: emergenza, tregua, invasione, occupazione, bomba, polveriera, miccia, esplosione. Questi i termini ricorrenti. L’altro dato sconcertante è che in questi servizi la voce dei migranti è praticamente assente. Nel 65% dei servizi parlano esponenti politici, di governo, gli amministratori locali. Ai migranti è concesso solo uno spazio del 14%. Ancora una volta si parla di loro senza dar loro la parola che resta sempre saldamente affidata ai politici.

Nel mondo sempre più globalizzato, l’informazione televisiva resta legata al campanile. “Non interessa al pubblico” dicono i direttori, che preferiscono scommettere sulle non notizie di alleggerimento – dai cappellini della nobiltà inglese, ai cuccioli di animale che nascono in giro per il mondo – sulla cronaca nere trasformata in un soap opera a puntate, e, naturalmente, sulla politica di casa nostra.

“Break the silence” era il titolo di un congresso mondiale sull’Aids di qualche anno fa.

“Break the silence” è l’appello da lanciare ai nostri direttori. Perché, come ha detto il direttore generale di MSF Italia Kostas Moschochoritis, “non siamo sicuri che le parole siano in grado di salvare vite ma sappiamo con certezza che il silenzio può uccidere”.

E il nostro silenzio non è da meno.

 


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