Migliaia di persone, richiamate dal “tam-tam” dei siti e dei social network hanno occupato simbolicamente piazza del Pantheon, a Roma, per testimoniare la difesa delle istituzioni e la vicinanza alle ragazze e alle loro famiglie, colpite dall’esplosione della bomba di Brindisi.
In un sabato affollato da turisti di tutto il mondo, sono risuonate le parole di sdegno e di preoccupazione di decine di giovani, donne e uomini, che da un palco improvvisato hanno voluto denunciare il clima di terrore che si vorrebbe instaurare con questi atti terroristici, ma hanno lanciato anche forti critiche al sistema dei partiti e a quelle parti dello stato ritenute colpevoli di anni di acquiescenza verso l fenomeno mafioso e verso le stragi. Un bagno di democrazia partecipata dal basso, spontanea e senza spirito identitario, dove tutti hanno trovato pari opportunità per esprimersi e nessuno si è risentito di quanti a volte usavano toni aspri e “antipolitici”, o per meglio dire “antisistema”. Questa la cronaca di un pomeriggio di “normale e civile” partecipazione democratica nella capitale, dove erano presenti anche molti politici della sinistra, che hanno preferito non presenziare sul palco; mentre il sindaco Gianni Alemanno ha fatto una fugace apparizione con tutto il suo seguito per rilasciare qualche breve intervista davanti alle telecamere e scomparire di corsa.
Ma quale analisi si può trarre a meno di 24 ore dall’attentato e sulla base degli scarsi indizi in nostro possesso?
Intanto, si è scelto la parte più sensibile e indifesa della popolazione, le ragazze, studentesse di un istituto per la moda e il turismo, per dare un segnale chiaro e inequivocabile: impaurire il resto dell’Italia colpendo la dolcezza, la spensieratezza, la voglia di vivere, il desiderio di affrancarsi da una vita difficile di provincia per emanciparsi con il sogno di un occupazione creativa. Quale sia stata la “mano”, chi l’istigatore, il mandante, chi il criminale che ha posto materialmente la bomba a Brindisi non è poi così determinante: all’autore o agli esecutori della strage ci penseranno gli inquirenti. A noi importa capire il contesto e le cause sociali e politiche di questo attentato.
Concordiamo con le analisi lucide e ancora parziali, perché siamo davvero agli inizi delle indagini e delle perizie, di due grandi esperti di terrorismo e mafia: il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli (già magistrato in prima linea contro il terrorismo rosso e poi a capo del pool antimafia di Palermo, dopo l’uccisione di Falcone e Borsellino), e il capo della DNA, Pietro Grasso, anche lui da decenni impegnato nella lotta senza tregua alla criminalità organizzata. Prima di tutto, come hanno concordato entrambi nelle interviste, si tratta di un atto terroristico, perché tende ad incutere paura, il terrore appunto, colpendo un luogo ritenuto sicuro, la scuola, alla quale le famiglie si affidano per lasciare i figli. Viene così scioccato l’immaginario collettivo di oltre 30 milioni di persone con gli 8 milioni di ragazze e ragazzi, loro figli. Comunque ci sia o meno una rivendicazione, la tecnica è da criminalità organizzata. Alcune “veline” nelle ultime ore della giornata tendono ad attenuare i toni dell’evento, cercando di “depistare” su ipotesi per accreditare un atto di ritorsione personale, frutto di rancore, o ad una azione dimostrativa finita male, con ripercussioni maggiori rispetto alle aspettative della mente criminale che l’ha pensata.
Dopo la conferenza stampa di domenica mattina del magistrato incaricato delle indagini, Di Napoli, si comincia a delineare uno scenario meno “stragistico”, ma altrettanto inquietante. Il cassonetto spostato era stato probabilmente acquistato in un grande magazzino e non era di quelli in uso regolare da parte della Nettezza Urbana del comune. Per portarlo sul luogo e attrezzarlo ad ordigno a tempo, bastava una persona sola. Questo criminale, probabilmente ripreso da una telecamera, è un adulto, avrebbe agito da solo ed era un esperto di elettronica che ha azionato un timer a “rivelazione volumetrica”, cioè attivabile dal movimento dei corpi umani. Particolare ancora più macabro, ma di uso tra i mafiosi, lo “stragista” sarebbe rimasto sul posto per attivare e da lontano il meccanismo “volumetrico” ed assistere all’effetto deflagrante.
Isolato o meno, mafioso integrato nelle organizzazioni oppure no, politicamente anarcoide o semplicemente un rancoroso, una persona che voleva vendicarsi di uno “sgarro”, questo è comunque un attentato di stampo terroristico.
Compito della libera informazione è non credere a nessuna delle ipotesi precostituite dagli inquirenti, specie a quelle che vorrebbero abbassare i toni della tensione politica e sociale, visto il clima di emergenza in cui vive il nostro paese, stretto dalla forte crisi economica (che al Sud è ancora più oppressiva) e da quella morale e politica, alla vigilia di un incerto turno elettorale dei ballottaggi per le amministrative, che comunque stanno segnando il termometro dell’esistenza stessa dei partiti tradizionali.
E non si tratta neppure di un delitto “sessista”, anche se tutte le vittime sono studentesse, ma di un avvertimento in tipico stile mafioso che vorrebbe evidenziare come proprio le ragazze, spesso in prima linea nell’impegno contro la mafia (come non ricordare la grandiosa manifestazione di Libera a Bari il 15 marzo 2008, in centomila, per ricordare le vittime di tutte le mafie, con i ragazzi di “Ammazzateci tutti”, guidati da don Ciotti e dal nostro Roberto Morrione?), devono ritornare a svolgere un ruolo secondario, silenzioso, disimpegnato, anziché di affrancamento da quegli stili di vita, culturali e politici, antichi e fuori dal mondo: antistorici. A questo tentativo di involuzione, le ragazze e i ragazzi di Mesagne hanno detto da anni “NO”, si sono ribellati e si sono impegnati in prima fila nelle attività di Libera per riutilizzare le terre e i beni immobili confiscati ai boss locali della Sacra Corona Unita.
Ecco allora, che il nostro dovere democratico e professionale e di tutti i media, a cominciare dal Servizio pubblico della RAI, è di tenere i riflettori accesi su questi fenomeni criminosi, di andare a fondo nel ricercare la verità, di non lasciare soli sia questa “bella gioventù” sia quanti operano nelle forze di polizia, nell’intelligence, nella magistratura e in politica, impegnati a contrastare qualsiasi fenomeno mafioso e terroristico. Mai come oggi, indagare e informare assumono il significato di offrire strumenti di crescita democratica, di creare una rete di coesione civile.
Anche così si esce dalla crisi.!
Anche così il nostro paese si potrà trasformare in una nazione più matura e civile, degna di stare alla pari con gli altri maggiori partner europei e non sedere invece “col cappello in mano” in uno dei tanti summit a chiedere qualche sconto sul debito e qualche aiuto monetario.