Esiste nel nostro Paese un ponte che non potrà mai essere costruito: le sponde che dovrebbero sostenerlo, infatti, di anno in anno si allontano sempre di più l’una dall’altra. In Italia il ponte della verità non riuscirà mai ad unire la distanza enorme che separa la storia di alcune stragi dalla giustizia del nostro Paese.
Un unico greto arido corre da Piazza della Loggia a Ustica, dalla Stazione di Bologna a via D’Amelio unendo inconsapevolmente vite, comunità, luoghi semplicemente devastati da ignoti.
Una realpolitik imposta uomini grigi, attuata da apparati fedeli solo al mantenimento del potere ed eseguita da criminali di stato, insanguina da sempre una Repubblica forse sempre troppo distratta per ribellarsi o per chiedere che al meno un uomo politico collaboratore di Cosa Nostra fino al 1980 non sieda più come senatore a vita nel nostro Parlamento.
In questo alveo brullo, storia triste di un Paese a volte in guerra con se stesso, siamo cresciuti in tanti: intere famiglie, generazioni di uomini e donne che hanno pagato allo Stato un prezzo altissimo ed ingiustificato. Semplici persone che sentivano il dovere di ricordare.
Siamo cresciuti senza che l’Italia sapesse darci giustizia. Senza che sapesse condannare quei colpevoli noti a tutti eppure sempre liberi ed esuli per la mancanza di quella prova decisiva che invece giaceva al sicuro, catalogata e riposta nell’ennesimo armadio della vergogna: senza che fosse necessario alcun ulteriore segreto a proteggerla.
Su di un qualche scaffale polveroso i cui battenti sono girati verso le mura giacciono infatti, ancora oggi, le chiavi di volta di molte dolorose vicende del nostro recente passato: tutti, pasolinianamente, lo sappiamo.
Eppure se l’unica ragione di stato è la verità, come si è detto alcuni giorni addietro, allora si aprano tutti gli archivi degli uffici e si informatizzi tutto.
Si faccia finalmente entrare la luce negli scantinati di questa Repubblica.
Può uscirne solo un Paese migliore.