di Nadia Redoglia
I partiti, così come gli organi d’informazione, devono essere finanziati dallo Stato, che siamo noi. La spiegazione è semplice: non può esistere, in democrazia, che sia il più ricco -di suo e/o per conto terzi- a governare/ informare (binomio inseparabile perché in reciproca simbiosi). Quanto alla salvaguardia dell’informazione, l’aver “goduto” (e ancor “godiamo”) di governi e parlamenti capeggiati dal proprietario delle maggiori testate nazionali, comprese indirettamente quelle del servizio pubblico, ci viene così da ridere che i singulti c’impediscono di proseguire. Quanto al proteggerci dalla plutocrazia partitica, indicemmo invece ben 2 referendum: evidentemente all’epoca non ci veniva proprio da ridere. Fu con quello del 1993 che abrogammo i finanziamenti e passammo ai rimborsi. Uno con un quoziente intellettivo nella norma, ma anche meno, traduce (giustamente) in: “tanto spendi, tanto ti verrà rimborsato”, dunque è ok. A distanza di quasi un ventennio ci viene sbattuto in faccia che i rimborsi non solo hanno (impunemente) arricchito i partiti ben più dei finanziamenti, ma sono serviti altresì per impinguare pure innumerevoli saccocce di ladri e truffatori alle dipendenze di quelli che ieri ignari, oggi affranti, si costituiranno parte civile (civile?!) contro i ladroni! Era dunque meglio ridere?