Ho conosciuto Carlo Petrini alla fine del 2001. Lo chiamai per dirgli che intendevo fare la tesina per l’esame da giornalista su di lui. Aveva da poco pubblicato ‘Nel fango del dio pallone’ per la Kaos e mi incoraggiò ad andare avanti con il mio lavoro.
Lo conobbi di persona qualche mese dopo, a Roma, alla presentazione del suo libro. Un’autobiografia cruda, spietata, un viaggio dal paradiso all’inferno.
In questi anni con Carlo Petrini ci siamo sentiti spesso ed è intervenuto tante volte a Radio città futura per raccontare un calcio che continua a macinare scandali: il doping, calciopoli, i falsi in bilancio, i fondi neri, il nuovo calcioscommesse…
Sono uno che credeva di essere un semidio e morirà come un disgraziato, diceva Carlo Petrini. E così se n’è andato, a 64 anni, vittima di un doping che non ha mai smesso di denunciare, ripudiato da un mondo che lo aveva reso ricco e famoso.
Gli esordi nel Genoa a metà degli anni ’60, poi il Milan, la Roma, il Torino per arrivare al Bologna e alla condanna a 3 anni e mezzo nello scandalo del calcioscommesse dell’80.
Finita la carriera, dopo una breve esperienza da allenatore, lavora per una finanziaria a Genova. Alla fine degli anni ’80 abbandona moglie e figli e fugge all’estero, pieno di debiti, inseguito da creditori e usurai.
Vive nell’anonimato in Francia e non torna neanche per vedere un’ultima volta il figlio Diego, 19enne, che nel ’95 prima di morire per un tumore al cervello, lancia un appello attraverso i media per rivedere il padre. Ma Carlo Petrini non torna neanche per i funerali del figlio.
Rientra in Italia solo nel ’98, nella sua Monticiano, in Toscana, paese natale anche di Luciano Moggi a cui è ‘dedicato’ il suo l’ultimo libro ‘Lucianone da Monticiano’.
E inizia a raccontare tutto, a partire dalle sue miserie, le sue vigliaccherie, i suoi tanti sbagli. Ma anche l’ipocrisia e l’omertà che circondano il mondo pallonaro. Sempre, fino alla fine.
L’ultima volta che ci siamo sentiti con Carlo Petrini era novembre dello scorso anno. Non è possibile andare avanti così, mi diceva parlando del malore di Antonio Cassano, i calciatori non sono padroni neanche del loro corpo, non decidono nulla. Sono sfruttati in maniera incredibile per essere sempre al massimo.
Ciao Carlo, mi mancherai.