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Senza perdere la speranza. Per non dimenticare Lucia

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Lucia, giovane donna cosentina di 28 anni, madre di una bimba di due, decide di abbandonare questa vita lanciandosi nel vuoto dal balcone della sua abitazione.
Lucia era laureata in ingegneria gestionale, 110 su 110; Lucia aveva studiato credendo nel futuro; Lucia era cresciuta con una mamma che l’aveva educata al rispetto del concetto di merito e dell’etica dello studio e del lavoro, del dare senza pretendere, perché prima o poi il riconoscimento arriva, perché prima o poi si accorgeranno di quanto vali. Lucia svolgeva lavori precari, con una retribuzione troppo bassa per far fronte alle esigenze quotidiane sue e della bimba. Soprattutto, Lucia era delusa di aver levato la maschera alle favole e aver scoperto la realtà. Quella troppa realtà che non è riuscita a sopportare.

Le informazioni che ho appena riportato in ordine sparso, le ho ottenute dalla vibrante lettera che la mamma di Lucia ha inviato al giornale calabrese “Il Quotidiano della Calabria”. Così come dalle riflessioni su Lucia che il Presidente del corso di studi in Ingegneria gestionale dell’Università della Calabria ha affidato allo stesso quotidiano (le due lettere, in calce a questo articolo, sono subito state riprese da diversi siti, tra cui “Repubblica.it”).

Lucia è stata uccisa da tutti noi – scrive la mamma –, lei che non ha mai cercato compromessi, disponibile e generosa con tutti, credeva che il suo studio, il suo impegno, la sua serietà venissero ricompensate. No, non funziona evidentemente così in questa «Italia asservita», in cui si chiede «per favore» quello che si dovrebbe pretendere «per diritto» (è sempre la mamma a trasporre in taglienti parole il suo dolore).

Il Presidente del corso di laurea, invece, parla di «grande sconfitta per quella società che l’università dovrebbe far progredire». E manifesta un «immenso senso di impotenza».
Dopo aver letto queste due lettere mi dichiaro preda di emozioni ambivalenti. Sconcertato e deluso per la situazione attuale di tanti miei coetanei, illusi da anni di studio e impegno, convinti di poter sedurre il futuro con lo studio e le competenze. Arrabbiato, a tratti iracondo, per lo stato di apatia in cui versa gran parte della società italiana, in cui pochi fanno sentire la propria voce, manifestano, scrivono, si attivano per modificare l’attuale stato delle cose.

Ho navigato molto su internet in queste ore, leggendo diversi commenti a proposito delle due lettere. E ammetto con timore che, tirando le somme, la rabbia sembra aver ceduto il posto all’impotenza, all’immobilismo, all’omologazione. In particolare, un’affermazione di Giulia Zanfini mi ha trafitto: «Forse bisognerebbe semplicemente cercare di capire cosa ha ucciso la speranza».

La mamma di Lucia afferma che non si può e non si deve banalizzare il gesto estremo della figlia come un suicidio dettato dalla depressione. Forse, Lucia aveva davvero perso la speranza. E allora, se vogliamo accogliere l’invito della madre, se vogliamo degnamente ricordare Lucia e quei suoi occhi profondi, dobbiamo imparare dal suo gesto. E agire.

Perché no, la speranza non muore. Fa parte del Lebenswelt, del mondo della vita, è essa stessa vita. Come ci insegna Adorno nella sua Dialettica negativa, perfino i “senza speranza”, coloro che si trovano nella situazione di essere appesi a testa in giù, ormai prossimi alla fine nutrono “ancora speranza”. Quella speranza di salvarsi tirandosi per i capelli, come il barone di Münchhausen. Tale speranza potrà sì rivelarsi vana, utilizzando una teoria di analisi razionale, ma permetterà a coloro che sono immersi nella vita, che vivono il momento, di considerare la speranza non soltanto come un sentimento o un’aspirazione verso ciò che sarà, ma come un grimaldello all’azione quotidiana. Non più un illusorio sentimento proiettato nel futuro, bensì una energia totalizzante che permette di immergersi e sfruttare le potenzialità insite nel presente, nell’hic et nunc, come già suggeriva, profeticamente, Ernst Bloch ne Il principio speranza.

Invece che proiettarci in un futuro indefinito e all’apparenza oscuro, creatore di angoscia e sofferenza esistenziale, utilizziamo la speranza come luce per illuminare il nostro presente, come motore di azione e di risveglio collettivo, come strumento di conoscenza attraverso cui svelare trucchi e illusioni della realtà sociale, come generatore di senso della nostra esperienza.

Non resta che questa la nostra speranza nel drammatico momento attuale che stiamo vivendo.

Sociologo, Università della Calabria
cerulo@unical.it


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