L’ennesima intimidazione, ancora una volta un giornalista nel mirino della ‘ndrangheta, Lello Filippone. Codardi che si proclamano d’onore vorrebbero un Paese muto, omertoso, supino al potere mafioso. Ma non funziona così, i desideri dei capibastone di turno pizzicati nei loro interessi economici non possono nulla contro il potere della parola, dei pensieri e della libertà d’informarzione.
Non conosco personalmente il collega Filippone, a cui esprimo sincera solidarietà, ma conosco la Locride. Terra amara, soffocata da padrini e corrotti. Ma allo stesso tempo vogliosa di riscatto, laboratorio di idee e di giovani che vogliono provare a sradicare una mentalità mafiosa diventata strutturale nel Paese. La solidarietà non basta, ognuno deve prendersi la propria quota di responsabilità. Se giornalisti vengono minacciati e perchè qualcun’altro ha preferito tacere. Se i nomi che manovrano affari e intrecci venissero elencati e scritti da tutti, e non solo da cronisti solitari, ecco che intimidire un esercito diventerebbe impresa ardua per le ‘ndrine. E’ fondamentale la collaborazione tra colleghi. Potrebbe addirittura essere una questione di vita o di morte. Facciamoli questi nomi. Pronunciamoli senza timore. I clan che operano sul territorio raccontato quotidianamente dal cronista si chiamano Aquino, Coluccio, Commisso, Cordì e Cataldo. Gli stessi che dalla Calabria sono partiti alla conquista di altri territori. Tra cui la fantomatica Padania. Dove ancora il fenomeno per molti non esiste. Neppure quando a finire sotto indagine sono dirigenti della Lega. Indagini da cui emergono interessi comuni tra il tesoriere leghista Belsito e faccendieri legati al clan De Stefano.
Ma la ‘ndrangheta a nord della Linea Gotica ancora non esiste. Quindi di cosa parliamo? Pazzi e visionari sono i giornalisti che nonostante tutto raccontano le aberrazioni del potere? Oppure la folta schiera di negazionisti che con politiche del compromesso mettono in pericolo chi fa semplicemente il proprio lavoro? Avanti tutta al sud come al nord, prima o poi l’Italia diventerà un Paese normale, unito e saldato dall’etica. E non dalla tela fatta di affari e complicità tessuta dalle cosche.