33 milioni di euro all’anno. Tanto spende il comune capitolino per mettere nei residence 1503 famiglie che hanno diritto ad un alloggio popolare. Un costo unitario per famiglia che ammonta a 1845 euro al mese. E nel frattempo servono case popolari per 80 mila famiglie. Ma le liste sono bloccate dal 2007. Un reportage in tre capitoli, il primo in onda questa sera alle 20,30 circa su Rainews 24. Con Debora Aru, giornalista freelance che ha scovato la storia, parliamo della politica dei Residence, avallata dalle amministrazioni di centro sinistra e di centro destra, che toglie risorse ad una sana politica della casa del Comune di Roma, dando alla temporaneità di un alloggio provvisorio, il carattere di soluzione quasi definitiva. Nei residence, infatti, ci sono famiglie che prima di avere una casa popolare ci stanno anche più di 10 anni. E l’ufficio assegnazioni di Roma (un unico ufficio per tutta la città, all’Eur) non riesce a dare risposte ai cittadini. Per assurdo il Comune di Roma spende per mettere in un residence una famiglia molto di più di quanto spenderebbe per un affitto in centro, per un appartamento di 70 metri quadrati. E per chi è ospite in un residence, per quei nuclei familiari composti anche da sei persone, a disposizione ci sono spazi massimi di 60 metri quadrati. 10 metri a testa. Quasi una cella di un carcere.
Gli alloggi popolari sono pochi e se almeno parte di quei 33 milioni di euro all’anno venissero utilizzati per la costruzione di nuove case popolari, i risultati sarebbero certamente migliore e i soldi meglio investiti.
Ma il reportage, nelle puntate successive, va anche oltre. C’è il fenomeno delle occupazioni. Cittadini senza casa, nuovi poveri a seguito della crisi economica, occupano edifici dismessi dal Comune. Alcune sono vecchie occupazioni, lasciate al degrado più completo. Siamo andati a vedere quella di via dei Basaldella. Un inferno in terra. Famiglie con bambini che hanno ottenuto dal Comune porpio lì la loro residenza. Ma alcuni vivono senza acqua corrente, sopra una fogna che trasuda, molti senza bagno. E chi ha un figlio se lo vede portare via per la situazione di invivibilità della pseudocasa in cui vive.
E poi altre occupazioni, meglio gestite. Come quella della scuola Hertz al Tuscolano. Qui un comitato di cittadini è entrato in una scuola del Comune che non è più utilizzata. E’ entrato, s è autotassato, ha rifatto le fogne a proprie spese e sta facendo i lavori per ricavare al proprio interno appartamenti. Alcuni sono pronti e sono di grande vivibilità. Qui ci vivono italiani arabi, marocchini, polacchi. Famiglie con bambini. Famiglie di etnia e religione diverse che convivono e si aiutano a fare la propria casa. E c’è anche chi, all’interno di questa variegata comunità, pensa ad insegnare la lingua italiana agli stranieri, fa trascorrere il tempo ai bambini, aiutandoli con i compiti e anche insegnando loro a cantare. Si a cantare. Una insegnante di musica polacca che insegna ai bambini arabi a cantare “o sole mio” in napoletano.
E il comitato di Lotta per la casa, organizzato da tre donne, Pina, Serena e Silvia, avanza una proposta al Comune. Ristrutturiamo queste strutture e diamo le case alla gente. E la cosa più anomala è che, grazie ai volontari e all’aiuto reciproco, appartamenti a norma vengono costruiti in quelle srutture spendendo meno di tremila euro ad appartamento. Si riqualifica una struttura che altrimenti andrebbe in malora, si dà casa a chi ne ha bisogno, e cosa non ultima, si rende disponibile a pagare utenze ed affitti al Comune di Roma. Non solo. Creano alloggi popolari di appoggio per il Comune di Roma perchè, dicono, quando a noi assegneranno la nostra casa, si libera una casa in appoggio qui a costo davvero inferiore rispetto alla politica dei residence.
Il Comune , però, è freddo nell’accettare questa proposta. Ed allora ci si chiede perchè. In una situazione economica difficile non sarebbe meglio spendere quei 33 milioni di euro o almeno parte di essi per iniziative di questo tipo, a basso costo e funzionali? Tenendo presente la situazione di grave crisi economica che vivono i comuni, la soluzione prospettata dovrebbe essere presa al volo. Ma poi… chi darebbe i soldi ai proprietari dei residence? Questa è una delle domande tra gli “abitanti” della scuola Hertz