La caduta di Bossi

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La caduta di Bossi è arrivata improvvisa come quella di Berlusconi nel novembre scorso. Ma né l’una né l’altra sono state improvvise per chi segue quotidianamente la politica italiana nelle convulsioni che la caratterizzavano in questa frenetica sedicesima legislatura. La mancanza di una legge idonea a controllare i bilanci dei partiti (soltanto il Partito democratico si è attrezzato di recente a far certificare il proprio bilancio…
ma gli scandali di Penati e altri avvenuti poco tempo fa mostrano che questo non è sufficiente) che sarebbe necessario come il pane in uno scenario che dà tutti i poteri al capo e nessuno quasi agli iscritti e ai dirigenti, rende abbastanza facile ai capi soprattutto quando sono veri despoti come ancora ce ne sono a destra o a sinistra (basta pensare alla situazione dell’Italia dei Valori, per far soltanto un esempio, neppure tanto a caso) disporre senza controllo dei giganteschi rimborsi elettorali come alle donazioni private che arrivano sempre a una forza politica e fare spese pazze per la famiglia, per i propri prediletti o per la corte che di solito li circonda.
Nel caso di Umberto Bossi, che ha creato un partito che definire “leninista” sarebbe un insulto per la memoria del protagonista della rivoluzione bolscevica, la cosa si è rivelata attraverso le voci ma anche le carte giudiziarie ancora in fieri come una lontana approssimazione di una realtà sempre più squallida e a prima vista incredibile.
Ma nella Lega Nord che è stata per molti anni all’opposizione e ha fondato la propria lunga  fortuna elettorale e popolare in slogan che volevano puntare alla secessione virtuosa al Mezzogiorno ex borbonico  e a Roma ladrona come sede del potere corrotto che non cambia mai rischia di diventare un boomerang difficile da evitare visto che il capo carismatico sembra ormai poco in grado di resistere anche fisicamente a nuove battaglie e i successori sembrano di nessun valore o divisi tra la vecchia fedeltà al capo e la necessità di andare avanti a sostituirlo.
Del resto anche Roberto Maroni, l’ex ministro dell’interno dell’ultimo governo berlusconiano che cerca di rinverdire i suoi accenti meno di destra, avrà qualche difficoltà ad apparire come l’iniziatore di un nuovo corso che dovrebbe definirsi almeno in parte democratico e non troppo populista.
La mia esperienza di studioso di storia mi suggerisce la convinzione, a lungo sperimentata, che è difficile, se non impossibile, riuscire a mutare forma e destino di una forza politica che non è mai stata democratica ed è andata avanti con l’idolatria del capo supremo e i riti della secessione statuale, dell’acqua del Po e delle antiche leggende da contrapporre continuamente al duro e difficile cammino della costruzione egualitaria e solidale dei militanti, di una rivoluzione sociale perseguita con coerenza, insomma di un movimento nato con ideali forti da mantenere e far vivere alle masse che vogliono seguirlo.
Insomma il problema di sostituire al populismo che ha dominato in Italia negli ultimi vent’anni non è facile da risolvere e diventa quasi impossibile che ce la facciano persone che fino ad oggi hanno seguito con disciplina e senza contrasti il verbo scombinato dell’uomo di Gemonio.

Nulla si può escludere ma che si tratti di un’impresa difficile e quasi impossibile è opportuno dirlo a questo punto sulla base di quello che è successo in Italia dagli anni novanta ad oggi.
Già è sempre arduo sostituire un capo carismatico che ha costruito la forza politica leghista, se poi si scopre che i successori sono stati gregari fedeli di quel capo e non sembrano disporre di un bagaglio politico e culturale adeguato, la cosa diventa ancora più ardua e c’è invece il rischio attendibile che la Lega tramonti e sia assorbita da altri populismi (come quello pidiellino) o diventi un’appendice di scarso peso di chi avrà più voce in capitolo nei prossimi mesi.
Staremo a vedere ma fin da ora si può dire che la destra italiana che, con Berlusconi, ha dominato gli ultimi vent’anni si troverà in difficoltà e dovrà tirar fuori  idee politiche  e persone in grado di ridare slancio a una forza che, fino a ieri, si è fondata sulla forza e sull’intuito animale di un demagogo che ha avuto, in molti momenti, la capacità di attrarre anche elementi popolari che non erano del tutto  guadagnati alla destra e cercavano confusamente di uscire dallo stagno piuttosto immobile della crisi italiana.


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