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Il puzzle afghano. La soluzione è politica, non militare

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L’attacco combinato in molte zone di Kabul e in altre città afghane, dà la misura dell’escalation della minaccia militare posta dalla guerriglia afgana.

Esattamente come sei mesi fa, in quel momento mi trovavo a Kabul, i commando talebani si sono infiltrati in città, certamente disponendo di appoggi e di rifugi dove avevano in precedenza nascosto armi. Al di là della descrizione e dell’analisi tattica e militare, è evidente che questo genere di attacchi hanno l’evidente di dare visibilità alla presenza sempre più consistente, al governo Karzai.

L’escalation militare proprio mentre i colloqui con rappresentanti dei gruppi di opposizione (nel Quatar, ma non solo lì) può sembrare un paradosso ma è il chiaro obiettivo di guadagnare terreno nella trattativa in corso. Quando tutto ciò è iniziato poco più di dieci anni fa pochi hanno consultato i libri di storia, per riguardare quello che era successo all’Armata Rossa. Oggi a ormai 24 mesi dall’inizio dell’annunciato ritiro del grosso dell’esercito USA, che ancora oggi è l’unica forza sul terreno in grado di costituire un serio argine alla guerriglia, quei libri vanni rivisti.L’idea che, di per sé, la presenza internazionale costituisca, le condizioni per la costituzione di un solido stato in grado di contrastare il fondamentalismo e assicurare sviluppo al paese, è sempre più debole

La stessa formazione delle forze di sicurezza afgane, al di là, della facile retorica, si è dimostrata poco efficace. Se tra i quasi 300.000 uomini tra polizia, forze di sicurezza, esercito e guardie di frontiera, non c’è una chiara percezione che il sistema che stanno difendendo, a volte con la vita, non merita di essere difeso, o non potrà essere difeso, si genereranno sempre più spesso il fenomeno del “fuoco amico”, di isolati ma ripetuti casi in cui soldati e polizia afgana aprono il fuoco sulle forze internazionali

Il “puzzle” afgano dimostra in pieno la propria complessità che le facile e rassicuranti formule del “tutto va quasi bene” sin’ora espresse dalla comunità internazionale, non riusciranno più a “coprire”.

Non resta che dare al tavolo di trattativa la massima consistenza e serietà, sapendo che la platea degli interlocutori che rappresenta la galassia dell’opposizione al legittimo governo è ampia e complessa. Scegliere i propri interlocutori è altrettanto importante che mostrare serietà e dedizione nelle politiche di sviluppo.
Le due gambe dell’intervento occidentale in Afghanistan saranno sempre più quella “politica” e quella dell’aiuto allo sviluppo. Chi crede ancora che la soluzione possa essere militare, sta gettando le basi di una nuova catastrofe, quelle di cui la storia afgana è ampiamente punteggiata.


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