Nei giorni scorsi un mio amico romano mi ha telefonato e, con la solita attenzione che lo contraddistingue quando è necessario discutere di libertà di stampa e di opinione, mi ha chiesto un parere o, meglio ancora, un sunto sullo stato dell’arte in merito alle oggettive difficoltà che deve affrontare, ancora oggi, l’articolo 21 della Costituzione per potersi affermare nella terra che i romani chiamarono Felix. Non credo di avergli dato delle risposte esaurienti, probabilmente perché la situazione al di là del Garigliano mi appare come l’elettrocardiogramma piatto di un malato giunto all’ultimo spasimo. In fin dei conti mi pare che da queste parti si faccia sempre e solamente una gran confusione, preferendo alimentare enormi polveroni per far credere che si voglia dire tanto nascondendo, invece, la dura realtà di parole che non dicono assolutamente nulla.
In questa Regione le cose ciclicamente si ripetono, non importa l’appartenenza politica ma solamente i fatti, anche perché i protagonisti pare siano solamente degli attori chiamati a recitare il copione a loro assegnato. Un viaggio nella rete, o una particolare attenzione agli archivi dei quotidiani potrebbe confortare e sostenere quanto sin qui espresso. Certo, poi lui mi incalzato chiedendomi notizie su “Il Casalese – Ascesa e tramonto di un leader di Terra di Lavoro”, quella biografia non autorizzata, pubblicata dalla piccola e coraggiosa casa editrice napoletana “Cento Autori” sull’ex sottosegretario all’economia ed ex coordinatore del Pdl in Campania Nicola Cosentino.
In pratica i legali dell’onorevole Cosentino intraprendendo un’azione civile e penale nei confronti dei nove autori, tutti giornalisti iscritti all’ordine della Campania, hanno chiesto il sequestro e la distruzione di tutte le copie e un risarcimento 1.200.000,00 euro di risarcimento danni. La notizia ha giustamente travalicato anche le Alpi, suscitando non poco clamore e preoccupazione per una risposta così forte manifestata dalla parte che in questa vicenda si è sentita offesa. I nove autori hanno chiesto e immediatamente ottenuto l’intervento dell’Ordine, della Federazione Nazionale della Stampa e dell’Unione Cronisti “a tutela delle prerogative proprie e della professione giornalistica e , più in generale, di quelle contemplate nella Costituzione Repubblicana”.
A questo legittimo sostegno si è aggiunta, poi, anche un’interrogazione parlamentare firmata da 12 parlamentari. Ovvio che una vicenda del genere non poteva non destare clamore, ma io voglio ricordare che in Campania nel 2004 i legali del boss Francesco Schiavone, adesso nelle parie galere sottoposto al regime del ’41 bis, avevano avviato un’azione simile nei confronti del romanzo di Nanni Balestrini “Sandokan, storia di camorra”, edito da Einaudi, perché ritennero la pubblicazione un’opera che avrebbe potuto condizionare l’esito del processo, allora in corso, nei confronti del loro cliente. Nonostante una sentenza del tribunale di Torino avesse respinto le richieste dei legali di Schiavone, l’Einaudi ritirò dal commercio in via precauzionale tutte le copie rimaste invendute. Tanto è vero che nell’ottobre del 2006, dovendo organizzare allo Stabile di Torino una serata per un spettacolo che si ispirava proprio a questo romanzo, fummo costretti a chiedere alcune copie al deposito di Padova dove le stesse erano state conservate.
Adesso, invece, è necessario interrogarsi su cosa si sia stato fatto per difendere l’articolo 21 della Costituzione in questi anni. La risposta è la lapalissiana, cioè nulla o forse molto poco. La libertà di stampa e di espressione ce la giochiamo, ancora una volta, proprio come se fosse una partita di calcio, il prossimo 24 aprile in un’aula del tribunale di Napoli, quando il giudice monocratico della sezione editoria Annamaria Carbone si esprimerà in merito alle richieste della famiglia Cosentino.