di Stefania Pezzopane
Il 6 aprile 2012 non è un giorno come gli altri. Non lo è per noi aquilani, che non riusciamo, dopo tre anni, a vivere questa ricorrenza come un giorno qualunque.
Non può esserlo perché il dolore e il ricordo di quella tragica notte sono ancora vivi e brucianti e, man mano che passa il tempo, ci accorgiamo che il 6 aprile continuerà ad essere sempre di più, per noi, un giorno diverso. Uno spartiacque tra un prima e un dopo. Una data che ha determinato una cesura insanabile nelle nostre vite, unendo l’esperienza individuale di un dolore incancellabile alla consapevolezza collettiva di un dramma di cui non riusciamo ancora, a distanza, di tempo, a tracciare i contorni. Una sorta di infinito, e di indefinito, che alberga nell’anima di ciascuno di noi e intorno al quale vive il senso più vero e più profondo del riconoscerci come singoli e come comunità.
Non è un giorno come gli altri perché trecentonove persone non ci sono più. Trecentonove figli di questa città, persone care che non rivedremo. Trecentonove ferite nel cuore dei loro parenti. Oggi non è un giorno normale perché sappiamo che non lo è per tutti loro. Non c’è, infatti, solo il dolore per chi abbiamo perso, ma anche la preoccupazione per chi resta e a cui dobbiamo stare vicino. Un compito, direi un dovere, che riguarda soprattutto le istituzioni, locali e nazionali. Questo lutto, questo dolore, sono infatti, e devono essere, il lutto e il dolore dell’intero Paese, che non può restare a guardare.
Parlo degli orfani, per esempio. Bambini e ragazzi rimasti senza una guida, senza un sostegno, senza un riferimento. Per loro, fino a questo momento, ci sono stati solo la vicinanza e l’appoggio dei parenti più prossimi. Nient’altro. Deve essere dunque un nostro preciso dovere pensare anche a chi resta. Come Amministrazione e come Paese dobbiamo stare vicini a questi ragazzi e a tutti i parenti delle vittime, in particolare a chi, fra loro, vive in condizioni di difficoltà e di disagio. Per queste ragioni ho inviato, nei giorni scorsi, una lettera al ministro Fabrizio Barca nella quale ho chiesto un intervento legislativo da parte del Governo che riconosca lo status di parente di vittima del terremoto, soprattutto per aiutare gli orfani del sisma e tutti quei parenti che vivono un particolare stato di necessità. Un impegno del Paese, ripeto, perché per tutta l’Italia questo non deve essere un giorno normale.
Il 6 aprile resta una data diversa dalle altre perché sono passati più di mille giorni e sentiamo sulle nostre vite il peso di una precarietà e di un disorientamento che persistono. La nostra città è ancora deserta, ferita, priva di quella vita pulsante che era, poi, la quotidianità di ciascuno di noi. La ricostruzione, quella vera, non è mai partita e quello che il terremoto ci ha tolto resta dunque una mutilazione nelle nostre esistenze. Ancora oggi 30mila cittadini aquilani sono fuori dalle loro case, oltre mille attività produttive restano chiuse nel centro storico abbandonato. Ancora oggi la nostra economia soffre il peso di quella tragedia, che tale è stata anche per quanto riguarda l’occupazione, lo sviluppo, le prospettive per i nostri figli. Ancora oggi, infine, i luoghi della socialità e della cultura non sono stati recuperati e la loro assenza ci allontana ancora di più da una normalità che non c’è. Nonostante tutto questo ci sorprende la nostra forza. E, mentre ci prepariamo a una condivisione silenziosa del dolore, individuale e collettivo, dobbiamo constatare il coraggio e la dignità di una popolazione che, nonostante tutto, non si è arresa.
Questo non è un giorno normale proprio perché, a fianco al lutto che è impresso come una ferita nei nostri cuori, ci stupiamo della nostra forza e della speranza che ancora riusciamo a donare allo sguardo con cui cerchiamo di abbracciare il futuro.