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Gli affari globali dell’Unione Europea negli armamenti

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“Missione Oggi” svela gli affari globali dell’Unione Europea negli armamenti: 30 miliardi di euro di licenze all’export, quasi la metà verso il Sud del mondo. Intanto il Governo si accinge a cambiare la legge italiana per facilitare gli scambi intra-comunitari di sistemi militari…

“I paesi dell’Unione europea sono oggi i maggiori esportatori mondiali di
armamenti. Nel loro insieme, le esportazioni militari dei 27 Stati membri superano
ampiamente sia quelle degli Stati Uniti, sia della Russia. La parte più
consistente dei trasferimenti (oltre il 45%) è diretta a paesi dell’emisfero Sud
del mondo”. Lo rivela il dettagliato dossier dal titolo “Unione Europea: affari
globali per gli armamenti” pubblicato nel numero di aprile di Missione Oggi, la
rivista dei missionari Saveriani di Brescia.

Il dossier, curato da Giorgio Beretta (ricercatore della Rete Italiana per il
Disarmo e collaboratore di diversi istituti di ricerca nazionali) presenta i dati
delle Relazioni ufficiali dell’Unione Europea sulle esportazioni internazionali di
sistemi militari negli ultimi 10 anni: l’analisi – mai condotta in Italia – mette
in luce anche le carenze di informazioni, le anomalie e i silenzi che circondano
questo particolare settore: “A tredici anni dall’entrata in vigore del Codice di
Condotta europeo sulle esportazioni militari, la Relazione annuale dell’Unione
europea è tuttora un documento pressoché inservibile – se non integrato con i
rapporti nazionali – per poter analizzare con precisione le effettive esportazioni
di armamenti dei paesi membri” – sottolinea l’autore. “È necessario ormai
chiedersi se le numerose carenze e errori nelle Relazioni – anche da parte
dell’Italia – non siano di fatto un subdolo boicottaggio dell’unico documento
ufficiale che dovrebbe esplicitare con precisione informazioni di ampio interesse
che riguardano la politica estera e di difesa dell’UE” – denuncia il dossier.

“Un’analisi approfondita che riunisce e illustra migliaia di tabelle e cifre
pressoché sconosciute al di fuori dello stretto ambito degli addetti ai lavori e
dei cosiddetti esperti, spesso alle dipendenze delle industrie militari” –
commenta p. Mario Menin, direttore di Missione Oggi. “Per questo abbiamo pensato
di inviarne copia ai capigruppo di tutti i gruppi parlamentari italiani e europei
e di chiedere loro di aprire un confronto con le associazioni della società civile
europea attente ai problemi relativi al commercio degli armamenti”.

Il dossier, infatti, non solo analizza – integrandoli con i dati dei rapporti
nazionali – le esportazioni militari dei paesi dell’Unione, ma mette in luce anche
le problematiche relative alla sicurezza internazionale. Il protagonismo europeo
nel settore degli armamenti suscita infatti diversi interrogativi, soprattutto
oltreoceano. “L’ultimo rapporto ufficiale al Congresso degli Stati Uniti – si
legge nell’introduzione al dossier – afferma chiaramente che «i maggiori paesi
europei produttori di armi hanno separatamente rafforzato la propria posizione
competitiva nelle esportazioni di armi con un forte sostegno governativo al
marketing delle proprie vendite all’estero» e oggi rappresentano «fonti
alternative di armamenti per quelle nazioni che gli Stati Uniti hanno deciso per
ragioni politiche di non rifornire».

“Una ricerca quanto mai necessaria in questo momento in cui l’Unione Europea si
appresta a attuare una direttiva che intende facilitare i trasferimenti
intra-comunitari di sistemi militari” – commenta Francesco Vignarca, coordinatore
della Rete Italiana per il Disarmo. “Infatti, mancando una simile direttiva – cioè
un’effettiva legislazione – che regolamenti le esportazioni extra-comunitarie di
armamenti, l’effetto a cui stiamo assistendo è quello di un indebolimento delle
legislazioni nazionali come la legge 185 che dal 1990 regolamenta con trasparenza
le esportazioni militari italiane”.

Rete Italiana per il Disarmo e Tavola della Pace presentano perciò a conclusione
del dossier “Dieci proposte all’Unione Europea” (riportate alla fine di questo
comunicato) sia per migliorare la normativa attuale che chiedono di far diventare
“vincolante e sanzionatoria”, sia soprattutto per favorire la trasparenza e il
confronto con le associazioni della società civile attente ai temi del commercio
degli armamenti e della promozione della pace.

Seguono:

1)   I dati sintetici sull’export di armi europee
2)   Le 10 proposte all’UE di Rete Italiana per il Disarmo e Tavola della pace

1.    Il giro d’affari delle esportazioni di armamenti dei paesi dell’Unione
europea ammonta ad oltre 30 miliardi di euro all’anno.
2.    Ma, nonostante i corposi rapporti annuali dell’UE, le informazioni sono
lacunose. Se, infatti, i dati delle Relazioni UE sono abbastanza certi per quanto
concerne le autorizzazioni (licences) all’esportazione, molto carenti risultano
invece quelli relativi alle effettive consegne (deliveries) di armamenti: una
minuscola nota della Relazione avvisa annualmente che diversi Stati membri “could
not supply these data” (non hanno potuto fornire questi dati). E non si tratta di
esportatori di poco conto: nel 2010, ad esempio, oltre a Belgio, Danimarca,
Grecia, Irlanda e Polonia non hanno fornito le cifre delle consegne anche la
Germania e il Regno Unito.
3.    L’Italia ha fornito all’UE “cifre ballerine” sulle consegne di armamenti,
molto al ribasso rispetto a quelle contenute nella Relazione inviata al Parlamento
nel 2011: tale Relazione per l’anno 2010 riportava come “operazioni di
esportazione effettuate” un ammontare di circa 2.754 milioni di euro, mentre il
Governo italiano ha segnalato all’UE un totale di esportazioni effettuate
(Worldwide exports) per soli 616 milioni di euro.
4.    Il trend degli affari delle esportazioni europee, nonostante la flessione
dell’ultimo anno, è comunque in crescita. Le autorizzazioni all’esportazione di
sistemi militari sono infatti passate – in valori costanti al 2010 – dai 25
miliardi di euro del 2002 a quasi 41 miliardi di euro del 2009 per poi
ridiscendere nell’ultimo anno a poco meno di 32 miliardi.
5.    L’andamento delle consegne (di soli materiali militari, non comprensive
delle licenze di produzione e i servizi) rilevate nelle Relazioni dell’UE, seppur
chiaramente incompleto per la già citata mancanza di dati di diversi paesi, mostra
a partire dal 2004 una sostanziale stabilità attorno ai 10,5 miliardi di euro
annui con una crescita nel 2010 quando hanno raggiunto i 13 miliardi di euro:
quest’ultimo dato include le consegne di Germania e Italia come riportate nelle
relazioni governative dei due paesi.
6.    Le principali zone geo-politiche di destinazione degli armamenti UE:
Nell’ultimo quinquennio, i paesi dell’Ue hanno trasferito agli Stati membri
materiali militari per poco più di 55 miliardi di euro (33,6%), ai paesi del Nord
America oltre 18 miliardi (11%), alle economie avanzate dell’Oceania (qui compreso
il Giappone) per quasi 7 miliardi (4,1%) e agli altri Stati del continente europeo
(compresa la Turchia) per meno di 11 miliardi (6,5%), mentre – verso i paesi del
Sud del Mondo – hanno autorizzato esportazioni di armamenti per oltre 31 miliardi
di euro alle nazioni del Medio Oriente (19%), per più di 27 miliardi a quelle
dell’Asia (16,5%), per 8 miliardi esatti all’Africa (4,9%) e per oltre 7 miliardi
ai paesi dell’America latina (4,4%).
7.    Nel quinquennio 2006-10, a parte gli Stati Uniti (16,5 miliardi di euro) i
principali destinatari di armamenti europei tra i paesi del Sud del mondo sono
stati i governi autoritari della penisola araba e le nazioni povere e instabili
del sub-continente indiano: ma figurano anche i regimi autoritari del Nord Africa
e del Medio Oriente. Ecco l’elenco: Arabia Saudita (12 miliardi euro pari al
7,4%), Emirati Arabi Uniti (9 miliardi), India (5,6 miliardi), Oman (4,3
miliardi); Pakistan (4 miliardi), Turchia (3,5 miliardi); Malaysia (3,4 miliardi),
Singapore (3,4 miliardi), Marocco (2,5 miliardi), Brasile (2,2 miliardi), Algeria
(1,8 miliardi), Kuwait (1,6 miliardi), Venezuela (1,6 miliardi), Indonesia (1,5
miliardi), Cile (1,4 miliardi), Cina (1,2 miliardi), Thailandia (1,2 miliardi),
Egitto (1,1 miliardi), Sudafrica (1,1 miliardi) e Libia (1 miliardo).
8.    Negli ultimi dieci anni i paesi dell’UE hanno autorizzato esportazioni di
armamenti a 132 nazioni: dalla martoriata Angola al poverissimo Niger, dal
Sultanato di Brunei al Laos, da Vanuatu allo Yemen. Mancano solo Corea del Nord,
Iran,Tonga e Tuvalu. Ma, nonostante l’embargo di armi dell’UE, ci sono Cina,
Somalia, Sudan e Zimbabwe.
9.    I principali esportatori di sistemi militari tra i paesi dell’UE nell’ultimo
quinquennio sono: Francia (58,7 miliardi di euro pari al 35,6%), Germania (24
miliardi pari al 14,7%), Italia (23,2 miliardi pari al 14,1%), Regno Unito (12,8
miliardi), Spagna (11,5 miliardi), Austria (6,8 miliardi), Svezia (5,9 miliardi),
Paesi Bassi (5,5 miliardi).

Dieci proposte all’Unione Europea
La Posizione Comune 2008/944/PESC che definisce “norme comuni per il controllo
delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari”. Questa normativa, pur
rappresentando un positivo miglioramento rispetto al Codice di condotta del 1998,
non è però né vincolante né sanzionatoria. Per questo la Rete Italiana per il
Disarmo e Tavola della Pace chiedono che la Posizione Comune venga rafforzata e
resa una “Direttiva” da implementarsi nelle legislazioni nazionali. E presentano
ai parlamentari europei dieci proposte:

1. Migliorare i criteri restrittivi della normativa
Gli otto criteri restrittivi della normativa vanno definiti sulla base di
parametri certi e verificabili. Solo in questo modo possono essere utilizzati
efficacemente per impedire l’esportazione di armamenti che possano essere
utilizzate per la repressione interna o l’aggressione internazionale o contribuire
all’instabilità regionale.

2. Introdurre il divieto di esportazione verso Stati belligeranti
Si inserisca il divieto di esportazione di armamenti verso paesi “in stato di
conflitto armato” applicandolo a tutti gli Stati che pongono in atto interventi
militari fuori dai propri confini non avallati da una specifica risoluzione da
parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il divieto di esportazione
di armamenti si applichi anche nei confronti degli Stati che abbiano violato gli
embarghi di vendita di armamenti stabiliti dalle Nazioni Unite e dall’Unione
europea.

3. Estendere i divieti ai paesi che presentano alti livelli di spesa militare
Il divieto ad esportare armamenti sia esteso nei confronti dei paesi secondo
l’Indice di Sviluppo umano del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo
(Undp) sono segnalati come “Low or Medium Human Development” e che
contemporaneamente presentano alti livelli di spesa militare. Vengano vietate le
esportazioni di armamenti verso tutti quegli Stati al di fuori dell’Ue che
presentano un alto livello di spesa militare.

4. Estendere i divieti ai paesi che non rendono pubbliche le proprie esportazioni
e importazioni di armamenti
Considerato che “la trasparenza sulle questione militari è un elemento essenziale
per la costruzione di un clima di fiducia e di confidenza tra gli Stati”
(Risoluzione Onu 64/22 del 2 Dicembre 2009) venga vietata l’esportazione di
armamenti a tutti gli Stati al di fuori dell’Ue che non presentano ai propri
Parlamenti e agli organismi internazionali una relazione annuale sulle
importazioni ed esportazioni di armamenti.

5. Estendere il regime di autorizzazioni e controlli anche alle armi “non a
specifico uso militare”
Le cosiddette “armi leggere e di piccolo calibro” nei recenti conflitti si sono
dimostrate reali “armi di distruzione di massa”. Queste armi sono le più facili da
trafugare e triangolare, ma le regolamentazioni nazionale sulla loro esportazione
risalgono spesso a leggi inadeguata rispetto al mutato scenario. Chiediamo perciò
che tutte le armi leggere e di piccolo calibro e il loro munizionamento (per uso
militare e non, civile e sportivo) vengano inclusi nel campo di applicazione della
nuova normativa.

6. Controllare gli intermediari di armamenti
La Posizione comune 2003/468/PESC sul controllo dell’intermediazione di armamenti
venga estesa anche agli intermediari di armi leggere e di piccolo calibro e resa
vincolante.

7. Rendere vincolante la comunicazione delle esportazioni di armamenti
Ad ogni Stato membro sia fatto obbligo di riportare annualmente nei tempo
prestabiliti tutte le informazioni riguardanti le licenze e le esportazioni di
armamenti suddivise nelle categorie previste e i dinieghi messi in atto. Si
prevedano sanzioni in caso di inadempienze.

8. Migliorare la Relazione annuale e la trasparenza
Oltre a riportate le suddette licenze, esportazioni e numero di dinieghi, la
Relazione annuale presenti le principali autorizzazioni e le consegne di armamenti
da parte degli Stati membri. Specifichi inoltre in dettaglio tutte le licenze
all’esportazione rilasciate ai paesi sottoposti ad embargo di armamenti da parte
dell’Ue. In un apposito allegato si dia relazione sulle operazioni autorizzate e
svolte dagli Istituti di Credito in materia di finanziamento e servizi alle
esportazioni di armamenti.

9. Promuovere il controllo parlamentare e il confronto con la società civile
La Relazione annuale sulle esportazioni di armamenti sia presentata dal Consiglio
al Parlamento europeo e venga discussa e votata nelle commissioni competenti. In
sede di valutazione le commissioni invitino le organizzazioni della società civile
per specifiche audizioni. La relazione sia presentata annualmente in una
conferenza stampa agli organi di informazione.

10. Promuovere il riordino dell’industria militare e la conversione a fini civili
Le industrie del settore militare dei paesi dell’Unione oggi sono in competizione
tra loro in ambito europeo e internazionale per conseguire ordinativi in grado di
garantire loro sussistenza e sviluppo: questo scenario non solo è insostenibile,
ma rischia di produrre conseguenze destabilizzanti sia rispetto alle politiche di
sicurezza europee sia per la stabilità in diverse aree del mondo. L’Ue deve
pertanto impegnarsi in una attenta valutazione della sostenibilità dell’intera
industria militare e, nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune,
procedere al suo riordino anche attraverso la conversione a fini civili delle
industrie militari nazionali.


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