Le elezioni presidenziali francesi sembrano interessare poco le opinioni pubbliche europee, affannate e avviluppate dalle tante incerte misure per uscire dalla crisi, intorpidite nelle coscienze da una interessata riluttanza dei media continentali a illuminare l’evento. Eppure, se il risultato delle urne dovesse confermare i pronostici e, quindi, decretare il ritorno di un socialista, un altro François Hollande stavolta, al posto del grande statista Mitterrand, lo scenario europeo potrebbe cambiare di molto. Di certo, non sarebbe solo una sconfitta per il neoconservatore, l’attuale Presidente Sarkozy, ma anche e soprattutto perla Cancelliera tedesca, la Frau Angela Merkel, grande sponsor di Sarkò e soprattutto la nuova “Donna d’acciaio” dell’Unione Europea, colei che condiziona le scelte di politica finanziaria ed economica, improntate all’iperliberismo, che stanno deprimendo l’economia del continente, specie quelle dei paesi mediterranei, oltre che della stessa Francia.
Intanto, cresce il numero dei partecipanti ai meeting dei due candidati della sinistra per le elezioni presidenziali francesi del 22 aprile e 6 maggio: Hollande per il Partito Socialista e Jean-Luc Mélenchon per il Fronte della sinistra, ex-leader della sinistra del PS. Ma aumenta anche il numero di coloro che si dicono incerti se votare, oltre il 30% di astensionisti secondo gli ultimi sondaggi. Un cammino in salita pieno di insidie per Hollande, che aspira a “cambiare orala Francia”, anche se, come tutti i sondaggi concordano, dovrebbe riuscire ad espugnare l’Eliseo al secondo turno di ballottaggio, visto che è accreditato di un 54-55% nelle indicazioni di voto, rispetto al 44-45% di Sarkozy.
Ma mentre sale l’attenzione della pubblica opinione e dell’elettorato per il voto del 22, ecco che si acuiscono le difficoltà per il riformista Hollande proprio all’interno di quelle classi sociali, quegli ambienti intellettuali e imprenditoriali finora a lui favorevoli. Se Sarkozy sembra aver conquistato il primo posto nella guerra dei sondaggi con un punto percentuale nei confronti di Hollande, quest’ultimo deve guardarsi le spalle dall’esponente della sinistra “radicale” euroscettica, Melénchon, che ormai veleggia attorno al 15%. E’ molto probabile che sarà lui il terzo incomodo, dopo che ha messo in riga la figlia del neofascista Jean-Marie Le Pen, la candidata alle presidenziali Marine, e addirittura relegato in soffitta il centrista François Bayrou (una sorta di Casini in salsa francese, che piace ai veltroniani del PD, già “arruolato” dai “sarkozisti” per il ballottaggio e per la formazione di un eventuale governo in salsa liberal-conservatrice).
Il problema principale di Hollande per conquistare l’elettorato dal “palato fine” e dallo “spirito ribelle” del fronte progressista (quello stesso che boicottò nel 2007 al secondo turno la candidata di allora del PS, la sua ex-compagna Sègoléne Royal), è la sua immagine di “grigio uomo dell’apparato”, di leader politico senza appeal, rispetto agli altri candidati e alla stessa Sègoléne. E poi ci sono gli effetti devastanti della crisi economica e dei dubbi sul futuro, le incertezze sul vero stato dei conti pubblici e le possibili manovre restrittive che il prossimo Presidente francese dovrà prendere per raddrizzare i conti in rosso di Parigi e rispettare le regole restrittive del Fiscal Compact, imposto all’Unione Europea proprio dal duo iperliberista Merkel-Sarkò.
Nonostante il successo di pubblico “amico”, delle folle acclamanti, Hollande si ritrova a non “sfondare” sia nel suo elettorato di appartenenza sia tra quello ondeggiante del ceto medio produttivo, impiegatizio ed imprenditoriale, il più colpito dagli effetti della crisi economica. L’area dell’astensionismo fa paura alla sinistra riformista, più che a Sarkò, il quale con le sue ultime uscite demagogiche e la sua fermezza nel reprimere l’autore della strage di Tolosa ha riconquistato un po’ dell’elettorato di destra, sottraendolo alla Le Pen.
“La magia di Sarkozy è finita. Il suo staff, lontano dai microfoni, ammette di avere il morale sotto le scarpe”, è l’ultimo icastico editoriale del vice-direttore di Libération, Paul Quinio: “Sarkò, sotto l’influenza dei consiglieri più reazionari, demagogicamente ha scelto di mettere tutte le disgrazie della Francia sulle spalle degli immigrati. A sinistra, Hollande non fa sognare. Normale è la sua posizione scelta: riformare il possibile, tenendo conto dei vincoli imposti dalla crisi. Questa è la sua forza. Ciò spiega anche il senso di stanchezza che traspare. Due incognite vietano un pronostico affrettato: il tasso di astensione e il voto per Marine Le Pen ».
E’ vero anche che l’elettorato francese, molto radicalizzato e ipercritico nei confronti dei due maggiori partiti, al dunque si riscopre compatto e va a votare per il candidato che più li rappresenta nei valori di indipendenza dalle politiche estere intrusive (vedi l’influenza dell’Unione Europea e la “dittatura” della Merkel, chiamata da Sarkò a sostenerlo pubblicamente); che li salvaguardi da scelte che potrebbero abbassare ulteriormente il tenore del welfare state (già colpito da Sarkò nell’istruzione pubblica, la sanità e con la riforma delle pensioni); che li faccia sentire di nuovo protagonisti nello sviluppo dell’economia e dell’occupazione anche a scapito dei “cugini” italiani e tedeschi. Soprattutto, è un elettorato che difende la giustizia sociale e fiscale, che non vuole si tocchino i redditi da lavoro, le 35 ore, il Salario minimo garantito e che esige una fiscalità più severa nei confronti del grande capitale finanziario, bancario e imprenditoriale.
Questa tendenza ha fatto sì che anche l’iperliberista e conservatore Sarkò abbia spesso imbracciato l’arma del “giustiziere fiscale”, imponendosi in Europa per l’avvio da subito della FTT, la tassa sulle transazioni finanziarie allo 0,1%, anche senza aspettare il resto d’Europa, di inasprire la “Carbon tax” nei confronti delle industrie inquinanti e di avanzare lo spettro di una patrimoniale per i super-ricchi. “Tutta propaganda”, obiettano gli altri due antagonisti di sinistra, Hollande e Melénchon!
La patrimoniale.
Proprio il candidato del PS ha lanciato la proposta, che in Italia avrebbe scatenato un putiferio e che invece in Francia anche dai media conservatori è stato accolta con interesse, di una superpatrimoniale del 75% su tutti i guadagni oltre 1milione di euro. Solo lo 0,1% della popolazione attiva dovrebbe essere toccata da questa tassa, che per le casse dello Stato significherebbe un guadagno sui 250 milioni di euro. Ma l’effetto simbolico è enorme: “Accettare di pagare un’imposta supplementare per aiutare il Paese a rialzarsi è un modo per essere patriottici” è stato il suo monito.
Il programma essenziale di Hollande contiene “60 impegni per far rialzare la Francia”.
Crescita, sistema finanziario e fiscalità.
Al primo posto c’è il “rilancio della produzione, dell’occupazione e della crescita”, con la nascita di una Banca pubblica per gli Investimenti e un programma di “riconversione ecologica ed energetica dell’industria e lo sviluppo di nuove tecnologie e dell’economia digitale”. Quindi, una politica per favorire l’occupazione attraverso sgravi fiscali alle imprese e aiuti pubblici per le aziende che intendono investire in Francia. Non solo, ma anche una dura scure su quelle imprese francesi che hanno delocalizzato in altri paesi, punendole fiscalmente (a questo scopo verrebbe fatto divieto di cessare le attività produttive se non c’è una società pronta a rilevarle). Una distinzione verrebbe operata sui proventi reinvestiti e sui dividendi distribuiti agli azionisti, oltre ad introdurre una diversa tassazione societaria: 35% per le grandi, 30% per le piccole e medie, 15% per le piccolissime. Forse per questi suoi propositi, Hollande è ben visto da una buona parte del mondo imprenditoriale, tanto da essersi attirato le critiche dei “Sarkozysti” che lo hanno definito “amico spalleggiato dal grande capitale”. In realtà, durante il governo di Sarkò, i “grandi ricchi” di Francia hanno ottenuto benefici fiscali di tutto riguardo: dalla riduzione delle tasse di successione allo sconto fiscale di circa 45 miliardi di euro in 5 anni e alla possibilità per 2 mila di loro di godere di una tassazione di favore, esportando capitali in Svizzera. La riforma fiscale di Hollande comprende inoltre l’aumento dell’aliquota dal 41% al 45% sui redditi oltre i 150 mila euro l’anno e l’aumento al 15% delle imposte sugli utili delle banche. Per le banche verranno prese misure contro il ricorso ai “paradisi fiscali”, si attuerà il blocco dei “prodotti tossici”, mentre verranno abolite le stock-options e verranno regolamentati i “bonus” dei supermanager. Verrà introdotta una tassa su tutte le transazioni finanziarie, sul tipo della FTT, auspicata anche per il resto dell’Unione, così come la creazione di un’Agenzia Europea di Rating, per contrastare lo strapotere di Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch. Infine, riduzione dei costi per le operazioni bancarie, le tenute dei conti e del credito al consumo.
Welfare, “Beni comuni”.
Farà certo discutere, in epoca di tagli al welfare state e di rincorsa mondiale all’innalzamento dell’età pensionabile (misure auspicate anche dal Fondo Monetario Internazionale), il proposito del leader socialista di riportare invece l’età pensionabile dagli odierni 62 ai 60 anni (con 41 anni di contributi), la creazione di oltre 2 milioni di nuovi alloggi popolari (mettendo a disposizione gratuitamente i terreni di proprietà statale), affitti “calmierati”per gli studenti, la creazione di 150 mila posti di lavoro per i giovani, specie dei “quartieri difficili”, e 60 mila assunzioni nella scuola, martoriata dai tagli di Sarkò. C’è poi l’idea “rivoluzionaria” di bloccare il prezzo della benzina per almeno 3 mesi, “mettendo le compagnie petrolifere di fronte alle loro responsabilità”. Verranno mantenuti gli statuti di bene pubblico per le società controllate in parte dallo stato come: EDF, elettricità, SNCF, ferrovie, La Poste, ecc… Ma non solo, Hollande, se eletto, chiederà all’Unione Europea di adottare una direttiva “sulla protezione dei servizi pubblici essenziali”, di ridiscutere il Fiscal Compact, vero “nodo scorsoio” iperliberista, per sostituirlo con un “Patto di responsabilità, gouvernance e crescita per uscire dalla crisi e dalla spirale dell’austerità, privilegiando lo sviluppo e l’occupazione, modificando in questo senso il ruolo della Banca Centrale Europea, creando le Euro-obbligazioni”.
Riduzione dal 75% al 50% della dipendenza dall’energia atomica entro il 2025 e introduzione di tariffe progressive per le bollette di acqua, elettricità e gas, anche “al fine di far uscire dalla precarietà energetica 8 milioni di francesi”. Riforma del sistema ospedaliero e sanitario “per mettere fine all’assimilazione con l’assistenza privata”, riducendo anche gli onorari dei medici, il prezzo delle medicine e la fiscalità sanitaria.
Una diversa visione dei diritti civili e fondamentali dello stato.
In casi eccezionali, verrà permessa l’eutanasia per i malati terminali. Saranno ammessi matrimoni e adozioni per gli omosessuali. Voto nelle elezioni locali per gli immigrati, residenti regolari da cinque anni. Verrà ribadita nella Costituzione la “separazione tra Chiesa e Stato, assicurata la libertà di culto e di coscienza”. Sarà rivisto il sistema del rapporto tra potere esecutivo e potere giudiziario, modificando il ruolo e la composizione del Consiglio Superiore della magistratura, “garantendo l’indipendenza della giustizia e dei magistrati, riformando le regole per la loro nomina e le loro carriere”. Anche per il Presidente della Repubblica, oggi non incriminabile durante il mandato, verrà rivista la legge; mentre per i condannati di corruzione sarà impedito l’elezione ad incarichi pubblici per almeno 10 anni. Cambiamento della contestatissima legge Hadopi, che riduce le libertà su Internet, tenendo conto del rispetto del diritto d’autore, con l’introduzione di norme che rispettino sia il diritto di accesso sia quello di avere una giusta remunerazione.
Passo indietro della politica dal controllo del Servizio pubblico.
« La designazione dei responsabili dei canali pubblici radio-televisivi dipenderà da una Autorità indipendente e non più dal Capo dello Stato o dal Governo. Verrà anche tutelata l’indipendenza dell’AFP (l’agenzia di stampa nazionale francese, ndr) e rafforzata la legge per la protezione delle fonti ».
Ritiro immediato dall’Afghanistan.
« Non ci saranno più truppe francesi in questo paese entro la fine del 2012 ».