Caro Direttore, ho appena visto il film “Diaz”, un pugno nello stomaco. Ne avete scritto, esaltando il lavoro del regista. Pur avendolo apprezzato mi domando, a freddo, perchè non siano state messe in rilievo le responsabilità politiche, perchè nessuno ha fatto nomi e cognomi dei responsabili, perchè ci si è fermati al racconto “cronachistico” dell’episodio.
Con stima
Gianfranco Guerra
Caro Gianfranco,
ho visto di recente il film “Diaz” e sono uscito dalla sala “frastornato” come mi succede ogni qual volta mi imbatto in una pellicola di denuncia contro una delle tante vergogne del nostro Paese (e non solo). Ho letto con attenzione le critiche rivolte al film, quelle di Vittorio Agnoletto e di altri che contestano al regista di aver decontestualizzato la vicenda della Diaz. Certo, se ne poteva parlare in modo diverso, dando più spazio alle rivendicazioni dei giovani no-global e alla loro visione di un “altro mondo possibile” oppure si poteva mettere in evidenza il clima politico (e le conseguenti responsabilità) nel quale questa inquietante vicenda si è consumata. Si poteva parlare del G8 di Genova richiamando l’attenzione sulle violenze precedenti (ivi comprese quella del summit di Napoli)… Il regista però ha scelto di raccontare, come fosse con una telecamera in presa diretta, un singolo episodio, quello della Diaz, focalizzando l’attenzione sulle sopraffazioni e sulle umiliazioni esercitate ai danni di studenti, giornalisti, giovani e meno giovani accampati in una scuola non per preparare una guerriglia urbana ma per condividere, italiani e stranieri, idee, riflessioni, progetti di mobilitazione. E’ il punto di vista del regista. Aver circoscritto questo episodio è servito a mio avviso proprio a dare più forza alla denuncia della mattanza e delle brutalità commesse (e della sospensione dei diritti democratici, come ha scritto Amnesty) in poche ore, dalla scuola alla caserma. E quei titoli di coda, nei quali si ricorda che per ben due volte il Parlamento ha negato una commissione d’inchiesta che facesse luce su quel macello impunito, sono più efficaci di tante immagini…
Stefano Corradino