Lello Filippone è un giornalista di Calabria Ora, è il corrispondente da Locri, la città in cui vive. Si occupa di cronaca nera e giudiziaria. Gli hanno bruciato la macchina per dargli un avvertimento, un messaggio il cui significato è chiaro, la cui matrice è fin troppo evidente…si usa il fuoco per avvertire, per intimare, per imporre di non superare il limite tollerato. Probabilmente Ilario Filippone ha superato quel limite imposto arbitrariamente dalla criminalità organizzata ai giornalisti. Ha pubblicato notizie sgradite e ha sviluppato alcune inchieste in esclusiva. È difficile dire quale dei tanti articoli abbia fatto scattare la reazione violenta. In questi casi, non ci si può riferire solo agli articoli più recenti. Le coincidenze temporali valgono fino a un certo punto. A volte le cosche agiscono a distanza di tempo, “a scurdata”, quando meno te l’aspetti. Ma certamente sono due le inchieste di Ilario che hanno fatto più sensazione: una a Marina di Gioiosa e l’altra a Platì.
Marina di Gioiosa – Probabilmente, erano in molti a sapere che il narcotrafficante Salvatore Foti, affiliato al clan Coluccio, continuava a vivere nella villa di Marina di Gioiosa che gli era stata confiscata nel 2001. Solo Ilario Filippone, però, ha avuto il coraggio di fotografarlo e di far conoscere a tutta l’opinione pubblica uno dei tanti cortocircuiti che troppo spesso si verificano nella gestione di questi immobili. Dopo quell’articolo, l’Agenzia per i beni confiscati si è attivata e ha fatto pressione sui commissari del Comune, che a loro volta hanno disposto lo sfratto di Foti. Dunque, uno scoop, un grande colpo giornalistico, e insieme una iniziativa che qualcuno certamente non ha gradito.
Platì – Da Platì, piccolo paese ai piedi dell’Aspromonte, partono alcune direttive politico-mafiose-economiche da attuare nella ricca Lombardia. Filippone ha raccontato che il paese vive una realtà di miseria e sottocultura. Qui i bambini in età scolastica vengono utilizzati come “vedette” dai mammasantissima della zona. I figli degli ultimi, dei disoccupati e dei poveri, seguono i “forestieri” su ciclomotori sgangherati e riferiscono ai capi i loro spostamenti. Il territorio è costantemente monitorato, per individuare ogni faccia nuova, perché può essere quella di un investigatore, di uno spione o, appunto, quella di un giornalista. Filippone ha raccontato come la ‘ndrangheta locale sfrutta le giovani generazioni nel Comune che ha il reddito pro capite più basso d’Italia. Ed è successo il finimondo. L’associazione dei sindaci ha protestato con virulenza contro quel crudo reportage.
Ecco un esempio plastico di come può essere isolato un giornalista in Calabria, soprattutto quando racconta ciò che la gente preferisce non sentire. La sera di martedì 4 aprile, come al solito, Lello ha parcheggiato l’auto sotto casa sua, in via Nosside, alla periferia sud di Locri, e ha raggiunto a piedi l’abitazione della sua fidanzata, distante poche decine di metri. Nella notte, il boato che ha fatto sobbalzare l’intero quartiere, lui non l’ha nemmeno sentito. A scuoterlo dal sonno sono state le telefonate della madre e della sorella. Sotto casa, Lello ha trovato la sua Renault Modus ridotta in cenere. Le fiamme hanno lambito la casa in cui dormivano i suoi familiari. La cassetta della posta era stata divelta. I Vigili del fuoco hanno cercato di stabilire la tecnica adoperata dagli incendiari: una bomba, un ordigno infiammabile, una semplice tanica di benzina e un fiammifero… Lo diranno le indagini. Ma, quale che sia la risposta, la sostanza non cambia: i soliti ignoti hanno deciso di passare all’azione con la complicità del buio, come spesso succede in Calabria.
Cosa sta accadendo? Nei giorni scorsi qualcuno, a proposito dell’attentato contro Filippone, ha parlato di ritorno agli “anni di piombo”, a quella stagione che tanto sangue ha versato nelle strade della Locride. In realtà, anche se si spara sempre meno, l’oppressione della criminalità organizzata non ha mai smesso di farsi sentire. Adesso la criminalità cerca di apparire meno cruenta di qualche tempo fa, cerca di agire nell’ombra per non attirare l’attenzione.
Ma è proprio in queste fasi che le cosche diventano più forti, si arricchiscono maggiormente. Indisturbate, possono tessere trame oscure con la politica e la società civile: legami fondamentali per svilupparsi e radicarsi, in Calabria come nel resto d’Italia. Anche quando fanno gesti più eclatanti, come l’attentato a Lello, i clan lo fanno per rafforzare ulteriormente quella cappa di silenzio che nasconde i loro affari. Si colpisce con fragore per perpetuare l’oblio quando è proprio inevitabile. I clan pretendono il silenzio. Ma Filippone, per la professione che ha scelto, non può assoggettarsi a questa imposizione. È un cronista, deve e vuole raccontare i fatti.
Quelli che legge nei verbali della Procura e quelli che vede lui stesso con i suoi occhi. In un contesto saturo di ‘ndrangheta, la linea di demarcazione tra malaffare e onestà è sottile, quasi inavvertibile. Ed è un grande problema per chiunque si sforza di fare il proprio lavoro con scrupolo e professionalità. Il giornalista che trasgredisce la legge dei clan, come ha fatto Lello, oltre a provare paura per l’incolumità propria e della propria famiglia, deve fare i conti con altri tipi di condizionamenti più subdoli e sotterranei delle intimidazioni e degli attentati: la delegittimazione, l’isolamento, la denigrazione, gli schizzi di fango che possono arrivare da pregiudicati, da esponenti delle istituzioni o della classe politica e a volte anche da altri giornalisti. Con questi mezzi subdoli si può intaccare o distruggere la credibilità di un giornalista. E la credibilità è un bene prezioso, inestimabile per chi fa questo lavoro.
Lello conosce bene queste pratiche. Oggi il cronista di “Calabria ora” le vive sulla propria pelle. Si ritrova con una automobile in meno e con gravi preoccupazioni da gestire. Ma, in compenso, ha avuto la conferma della sua bravura professionale e dell’incidenza del suo lavoro che ha spinto la ‘ndrangheta a fare clamore, a rinunciare al basso profilo con cui si mimetizza. Ribellarsi all’imposizione del silenzio è la strada da percorrere per riscattare la propria terra.
per www.ossigenoinformazione.it