di Ettore Zanca
Ci tengo a sottolineare che da amante del calcio, ma realista, sono consapevole di tutto quello che queste misteriose morti possono nascondere, arresti cardiaci che tranciano la vita di atleti che dovrebbero essere pieni di salute, ma anche malattie varie prese per i capelli, Abidal, Muamba, inducono a farsi più di una domanda e a darsi purtroppo più di una risposta, c’è chi specula e c’è la carne da macello. Però questo mini racconto che segue non ha lo scopo di stemperare nulla, né di renderlo romantico, per tutto quello che non merita tenerezza. La tenerezza per la sua vita, mai una parola sopra le righe, sempre educato, la meritava Piermario. A lui vanno questo piccolo omaggio narrativo, a lui sì, con tutta la dolcezza possibile.
Il commissario tecnico più importante dell’universo ci pensava da un po’ a quella rifondazione. Voleva giocatori validi, non bravi. Anzi quelli più bravi a volte gli facevano pure antipatia, spesso impomatati e con quella spocchia di chi nella vita aveva tutto facile.
Essendone un esperto rideva quando i cronisti parlavano di questi campioni che avevano le “stimmate”. Queste predestinazioni forse aiutano in rettangolo verde, ma non nella vita. Quando i riflettori si spengono c’è gente che va in astinenza e non vive bene.
Troppi ne aveva visti e visionati, troppi osservatori aveva sguinzagliato.
La sua pulizia era cominciata, il suo codice etico era chiaro. Per giocare nella sua nazionale bisognava avere qualità fuori dal comune, essere generosi, sensibili, avere avuto una vita in cui si sapeva il valore del sacrificio, magari anche conoscere i graffi profondi e infetti della sofferenza, perchè la sofferenza vera non è un raffreddore. La sofferenza vera è una mano che ti comprime le spalle, che per lo sforzo di liberarsi diventano larghe. Guarda ancora la lista, quei nomi lo convincono, lo convince quello più in evidenza.
L’universalità della sua vita, il suo sorridere, la sua solarità. Se c’era una malinconia veniva illuminata dal suo godere delle piccole cose. Dal suo credere che un sogno va inseguito, come si insegue una sfera. Con passione ma anche con il disincanto che la vita non si ferma in quel rettangolo verde. Almeno non doveva fermarsi, ma chissà forse ci si ferma, ci si siede un attimo per poi andare oltre.
Il commissario tecnico ha deciso, chiamerà i suoi osservatori, quel ragazzo deve far parte della sua squadra. Ha tutte le qualità. Ha le “stimmate”, ma quelle vere, di chi ha pianto. È venuto il momento di ripagarlo di tutte le sue sofferenze, della perdita dei genitori quando era troppo piccolo per essere chiamato uomo, della perdita del fratello. Merita una ricompensa per aver custodito il dolore in un cassetto di sorrisi sereni.
Lo convocherà, farà parte della nazionale del Paradiso, la nazionale più forte di tutte, perchè fatta da uomini che diventano stelle che brillano lucenti. Lo merita Piermario Morosini, davvero tanto. Dio è un commissario tecnico che vede più lontano di tutti.