di Anna Foti
Sarebbe stata giustizia per onore, strangolata in casa per aver avuto una relazione extraconiugale mentre il marito, il boss Pietro Lo Giudice, era detenuto nel carcere di Palmi negli anni Novanta. Per aver tradito la famiglia si paga con la vita. Con la violenza ci si assicura il rispetto dove comanda la Ndrangheta. Tutto diventa più spietato e brutale, come nelle peggiori degenerazioni di antichi retaggi, quando a farlo è una donna. E’ la storia di Angela Costantino, madre di quattro figli, scomparsa all’età di 25 anni, il 16 marzo del 1994. La sua auto, una panda, fu ritrovata a Villa San Giovanni due giorni dopo la scomparsa ma a non essere mai trovato fu il suo cadavere.
La verità su questa drammatica vicenda ha cominciato a fare capolino già qualche anno fa, quando Maurizio Lo Giudice, fratello di Nino, collaborando con la giustizia, aveva chiaramente parlato di omicidio. E adesso un passo in avanti nelle attività di accertamento di una verità scomoda e perciò sepolta da 18 anni.
Una verità dolorosa. La squadra mobile reggina sabato ha, infatti, notificato, tra le dodici, anche tre ordinanze di custodia cautelare in carcere ai tre presunti responsabili dell’omicidio della donna: Vincenzo Lo Giudice, 51 anni (fratello di Nino e zio del marito della giovane), mandante ed arrestato sabato, il cognato Bruno Stilo (51) e il nipote Fortunato Pennestrì (38), rispettivamente esecutore ed altro mandante già in carcere.
Angela Costantino era la moglie del pregiudicato Pietro Lo Giudice, 46 anni, figlio del boss Giuseppe e fratello di Vincenzo e considerato uno dei principali protagonisti della guerra di mafia registratasi a Reggio Calabria tra la metà degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90. Giuseppe Lo Giudice era stato a sua volta ucciso in un agguato nel 1990 ed il figlio era detenuto a Palmi dove la giovane si stava recando il giorno in cui è scomparsa. Il giorno per il quale era stato stabilito, era stato deciso che quella presunta offesa avrebbe dovuto essere pagata con il sangue.
La storia purtroppo ci consegna un altro dramma analogo per troppi aspetti: quello di Barbara Corvi, sposata con Roberto Lo Giudice, fratello di Pietro e dunque cognata di Angela, con due figli Salvatore e Giuseppe di 19 e 15 anni, scomparsa dopo una lite in famiglia il 26 ottobre 2009 ad Amelia, frazione di Terni, in Umbria. La famiglia non ha sue notizie da allora. Uno squarcio si era aperto quando una cartolina era stata ricevuta da Firenze alcuni giorni dopo la scomparsa. Nessuna traccia in più fino allo scorso novembre quando si ipotizzò che delle ossa ritrovate in un bosco, Monte Morello, nella capitale toscana potessero essere le sue.
Un’ipotesi smentita nello stesso dicembre dall’esame del DNA. Dunque nessuna traccia del suo corpo, nessuna indicazione da parte dei pentiti a Reggio Calabra che hanno parlato solo della cognata Angela. Il destino di Barbara è ancora avvolto nel mistero. Un altro volto drammatico della Ndrangheta, che vede vittima una donna e carnefice il clan reggino dei Lo Giudice, nell’applicazione di un codice perverso che si arroga il termine di onore laddove di onorevole non v’è proprio nulla.
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