“E’ l’inizio dell’offensiva di primavera” hanno detto i talebani. Ma quanto è accaduto a Kabul e in alcune province afghane è qualcosa di diverso dalla solita ripresa dei combattimenti a cui si assiste in Afghanistan all’arrivo del disgelo da quasi 40 anni , da quando tra quelle montagne innevate e quei deserti infuocati si combatte una spietata guerra nella quale a turno si sono infilate e impantanate nazioni diverse dall’Unione Sovietica alla grande coalizione costituitasi in fretta e furia sull’onda emotiva dell’11 settembre. Quanto abbiamo visto questa domenica è il risultato di un’operazione pianificata da mesi, che ha lo scopo di spazzare via undici anni di tentativi occidentali, pagati a caro prezzo, di ridare un futuro democratico al paese più grande produttore di oppio al mondo. Con gli attacchi coordinati al cuore di Kabul, i razzi sul quartiere delle ambasciate e sul comando Nato, il tentato assalto al Parlamento, le esplosioni a due passi dal palazzo presidenziale, i kamikaze in due alberghi cinque stelle e poi nelle provincie di Nangarhar, Logar e Paktia, nell’aeroporto base Nato di Jalalabad, i talebani hanno voluto dimostrare che i più forti sono loro. Hanno pianificato un’operazione che richiede uomini ben addestrati, grandi mezzi e un controllo del territorio e della capitale afghana impressionanti. Non si portano all’interno di una città come Kabul, presidiata giorno e notte, grandi quantitativi di esplosivo e armi come quelli usati per gli attentati di domenica nelle zone più sensibili della capitale, se non si hanno complicità importanti.
Mentre i talebani si preparavano a questa imponente azione terroristica dove erano e cosa stavano facendo in questi mesi, i soldati e le forze di sicurezza afghane che da anni le truppe internazionali stanno addestrando? Ai contingenti stranieri il presidente Karzai in più occasioni ha chiesto di andarsene. Lo faranno molto presto, i governi occidentali non vedono l’ora di riportare a casa i loro soldati invischiati nella palude afghana, ma quanto accaduto oggi è la prova evidente che non c’è ancora un esercito afghano in grado di difendere il proprio paese.
Una giornata come questa segna la sconfitta della strategia del dialogo con i talebani sostenuta dal presidente Karzai, appoggiata dagli Stati Uniti. I talebani oggi hanno chiarito una volta per tutte che a loro non interessa far parte del processo democratico di ricostruzione dell’Afghanistan. Loro l’Afghanistan se lo vogliono riprendere e condividere con quanti li stanno sostendendo in questa follia sanguinaria. Una sconfitta per tutti noi, per il popolo afghano, per le donne afghane, mentre il Grande Gioco continua.