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Twitter ergo sum

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Anche la politica italiana è entrata nell’era dei social network. Dopo l’innamoramento per facebook, con la gara dei leader a chi aveva più fan, è il turno di twitter, il network protagonista della ‘primavera araba’. La passione per il nuovo media ha contagiato un po’ tutti.  Ci sono Angealfa, Pbersani, Pierferdinando, nichivendola, idv_staff, AngeloBonelli1. Così un cinguettio diventa una notizia, i follower potenziali elettori (si spera) o moltiplicatori del verbo.  La foto del vertice Alfano-Bersani-Casini con Monti, scattata dal leader Udc a Palazzo Chigi, è già diventata l’icona di una nuova fase politica. Ed ha fatto scuola, perché a pochi giorni di distanza è stata seguita dall’immagine del vertice sul lavoro, con Camusso e Marcegaglia riprese di spalle, però. Non c’era il clima adatto per mettersi in posa evidentemente. Ed anche questo è un messaggio politico. Capita che nell’arena virtuale si vada d’amore e d’accordo –come dimenticare il tvb di Casini a Di Pietro e gli scambi affettuosi tra pbersani e angealfa? – oppure che si litighi (sempre pbersani e ange alfa costretti ad una innaturale alleanza di governo). Capita anche, però, che per star dietro le tendenze comunicative del momento, si perda di vista la realtà. Quella vera, non mediata dalla semplificazione forzata di twitter. I follower possono anche aumentare, ma la gente nelle piazze a sentire i comizi e a partecipare alle iniziative di partito è sempre di meno. C’e’ una forte discrepanza tra la partecipazione in rete e l’impegno fisico. Si rischia di scambiare la realtà virtuale della rete, pur fondamentale nella strategia comunicativa, per l’unica realtà. Gli hashtag durano un giorno, a volte poche ore, mentre i problemi e le richieste vere dei cittadini anche anni. L’arena virtuale, che dà al politico un tocco di modernità e di giovanilismo, può offrire spunti, può far cambiare linea in corsa e permette, attraverso una costante interazione, la fidelizzazione degli utenti-elettori, ma non può sostituire le campagne elettorali tradizionali, perché si rivolge ad una fascia ancora troppo marginale dell’intera opinione pubblica.  Berlusconi lo sapeva bene e dirigendo il suo messaggio alla fascia maggioritaria del Paese ha vinto tre elezioni. Andrea Alicandro

Da ‘GLI ALTRI’


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