Se è questa la politica culturale del governo dei “tecnici”…

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Il governo dei tecnici non è una novità assoluta. Novità assoluta è che abbia il sostegno dei due partiti più importanti, fino a ieri opposti, anzi contrapposti. Governo di tecnici fu il governo Dini che in campo culturale ebbe alcuni meriti come l’introduzione del biglietto nei musei in luogo della tassa di accesso… che in campo culturale ebbe alcuni meriti come l’introduzione del biglietto nei musei in luogo della tassa di accesso, l’istituzione di alcuni Parchi Nazionali, il finanziamento integrale del nuovo Auditorium di Roma, ecc. Esso si mosse comunque sulla linea storica della tutela sedimentata con le leggi Rosadi (1909), Croce (1922), Bottai (1939), Galasso (1985) cercando di far prevalere l’interesse generale sugli interessi particolari e individuali.

Pensavamo che, dopo il tracollo vertiginoso, di regole e di finanziamenti, dell’era berlusconiana, il governo Monti avrebbe ripristinato una linea di dignità culturale capendo, oltretutto, che i beni culturali e paesaggistici in realtà “fanno immagine” più di ogni altra cosa. Purtroppo, per ora, non è così. L’inerzia, le assenze, gli ostinati e quasi ostentati silenzi – pur di fronte ad autentici scandali – del titolare del Ministero, Lorenzo Ornaghi, ricordano la latitanza di Bondi. Ma vi sono, ancor più allarmanti, taluni dati di cronaca. Intanto il ministro stesso, mentre non sta facendo praticamente nulla per i piani paesaggistici con le Regioni, esce dal catacombale silenzio per proporre – come ha sottolineato Eddyburg – una legge-quadro per l’urbanistica coi bonus volumetrici, le compensazioni di cubature e facili cambi di destinazione d’uso. Una rovina. In stile INU. Meglio che continui a non fare nulla se deve cucinare e sfornare piatti avvelenati del genere.

Ornaghi non lo si è visto, con Monti, nemmeno all’Aquila dove è disperatamente urgente avviare una seria e rigorosa ricostruzione. Si ricorderà che Berlusconi e il commissario Bertolaso avevano scelto una linea volutamente estranea alle esperienze riuscite di ricostruzione dei centri storici e di restauro di grandi beni storico-artistici come Friuli (in particolare Venzone) e Umbria-Marche. Dopo aver straparlato di “new towns” non sapendo nemmeno cos’avessero significato nel dibattito urbanistico di 40-50 anni fa, per i centri storici, a partire dall’Aquila, hanno lasciato le cose come stavano, cioè alle macerie. Presunzione sommata a incultura.

Il governo Monti non ha questa scusante, i suoi componenti sono, in molti casi, professori stimati, alcuni ci forniscono lezioni quotidiane, anche comportamentali. Eppure – in assenza del solito Ornaghi – esso ha avallato un rapporto ed una proposta dell’OCSE per la “resurrezione” dell’Aquila come smart-city che suscita sferzanti sarcasmi in quanti sanno cos’è un centro storico italiano, cos’è la Carta di Gubbio, cosa sono le esperienze di Bologna e di altre città, ecc. Rapporto dell’Università di Groeningen e proposta OCSE che Vezio De Lucia ha bollato così: “È un testo inverosimile. Da anni, da decenni, non si leggevano stoltezze simili, sembrano chiacchiere da bar. Non riesco a credere che invece siano state scritte da istituzioni autorevoli come l’Ocse, l’università di Groningen, il Ministero dello Sviluppo e le confederazioni sindacali”. E su Eddyburg si è letto: si tratta di “un intervento per l’edilizia storica che si imita a conservare le facciate demolendo il resto, che considera meritevoli di una qualche tutela solo i “monumenti” demolendo “l’edilizia minore”, che promuove la sostituzione del paziente lavoro dell’urbanistica, della storia e del restauro con l’intervento “creativo” degli architetti, magari mobilitati da un concorso internazionale”. Una regressione raccapricciante, naturalmente digitalizzata, rispetto alle esperienze che sul piano dei restauri hanno fatto dell’Italia un modello avanzato –  tecnico-scientifico e sociale – nel mondo.

Berlusconi predicava e realizzava, senza pudori di sorta, la politica dei condoni edilizie e ambientali, degli scudi fiscali, la tolleranza massima verso l’abusivismo (persino in Campania), in base al motto “ciascuno è padrone a casa sua”. Un sostanziale e generale imbarbarimento. Monti non può ripetere questi modelli sottoculturali. Eppure coi decreti di liberalizzazione e di semplificazione passano a frotte – per giunta col voto di fiducia – misure destinate a stravolgere in breve tempo la vita notturna (e quindi anche diurna), il traffico, le abitudini, le relazioni famigliari nelle nostre antiche e spesso conservate città. Locali di ogni tipo, anche quelli destinati alla vendita degli alcolici, anche le discoteche, potranno aprire senza alcuna autorizzazione preventiva sulla sicurezza (i controlli saranno ex post), compresi i famigerati e finti “circoli culturali”, lo stesso potranno fare le bancarelle.

Di più: locali e bancarelle (se non porranno divieti i Comuni) non avranno più orari, neppure nella vendita degli alcolici. Lo stesso i distributori automatici di birra. Con quali pericoli per i più giovani è facile immaginare. Tutto sarà possibile, veloce, anzi immediato. In nome di una nuova “crescita” turistico-commerciale. Indiscriminata, incontrollata, e quindi brutale. Quella reclamata dai “bottegari” romani e, di fatto, concessa a forza di proroghe da Alemanno.

Nessuna misura di tutela è stata infatti prevista per i centri storici che già stanno degradandosi in maniera desolante a divertimentifici notturni e che espellono con “movide” sempre più rumorose e violente i residenti, ormai esigui, cioè gli ultimi presidii di controllo sociale. Scomparsi loro, avrà libero campo la malavita organizzata la quale –– si è pesantemente infiltrata, a cominciare da Roma, nell’economia effimera della notte, potenziando la già fiorente rete di spaccio degli stupefacenti dietro insegne di mera copertura. Lo sanno tutti, è strano che non lo sappiano  ministri esperti come il prefetto Anna Maria Cancellieri alla quale il senatore Luigi Zanda ha indirizzato una lettera allarmata in proposito senza ricevere risposta. Vale anche qui l’antica legge di Gresham (1519-1579): la moneta cattiva scaccia quella buona, i locali peggiori scacciano i migliori, potendo pagare superaffitti negati a chi fa impresa in modo legale e leale. Una sorta di paleocapitalismo paramafioso, una continua dequalificazione imprenditoriale, commerciale, estetica. Tutto ciò non spaventa minimamente i tecnici neo-liberisti? La loro alta cultura non riesce a concepire regole, filtri, tutele, non vede gli spazi che spalanca alla criminalità maggiore e minore, ad un generale lassismo verso l’illegalità, con la caduta di controlli preventivi di sicurezza (oltre che di decoro, nascono negozi di una bruttezza oscena)?

C’è un altro provvedimento col quale questo governo – che pure parla di continui di “aprire ai privati” – prende le distanze dalla cultura che in passato ha consentito, pur fra mille difficoltà, di tutelare il nostro patrimonio storico-artistico. Le dimore storiche, i palazzi antichi vincolati appartenenti a privati hanno fruito di agevolazioni persino ovvie nel pagamento di tasse e imposte. Invece, di fronte all’IMU, non ci saranno facilitazioni di sorta per enti e privati i quali conservino in pieno decoro gli edifici storici del Belpaese. Il risultato sarà di costringere non pochi proprietari a cessare una manutenzione finora attenta e magari a mettere sul mercato, a svendere in pratica ai soliti affaristi ben muniti di capitali spesso dubbi. Con la legge Scotti, ministro nel 1991-92, che accordava una detrazione del 27 per cento, l’Associazione Dimore Storiche calcolò che erano stati attivati restauri per 300 miliardi di lire del tempo e che lo Stato aveva recuperato, dalle imposte per i maggiori lavori, 147 lire ogni 100 alle quali aveva temporaneamente rinunciato.

Di tutto ciò sembra non esservi più alcuna memoria. Se Ornaghi non fa nulla per mettere in moto i piani paesaggistici con le Regioni, Passera & Ciaccia (Infrastrutture) vogliono togliere i fondi di Arcus, tutta da riformare, certo, ai restauri. Anche a quelli utili, utilissimi, come alcuni del FAI. Sta passando nel corpo vivo del nostro Paese una politica sorda alla cultura, come scissa dalla storia migliore del Paese, una politica che monetizza tutto e tutti: dal lavoro alla bellezza. E chi verrà dopo di noi? Si arrangi. E l’articolo 9 della Costituzione? Polvere del tempo, evidentemente. Cenere pre-moderna. Aridàtece Berlusconi, allora? No, per carità. Però dateci una politica per la cultura seria e dignitosa. Che non si limiti al ministro Ornaghi e al duo Emmanuele Emanuele-Vittorio Sgarbi. Per favore.


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