“Non escludo che Ahmadinejad concluda il suo secondo mandato presidenziale, ma non mi sorprenderebbe se lo dimissionassero prima e i suoi finissero tutti in galera. Comunque la sua esperienza politica si è conclusa…”
al suo posto sarà nominato o Larijani o l’attuale presidente del Parlmento, Haddad Adel Khalibaf, l’attuale sindaco di Teheran, a mio avviso è da escludere. Ha una personalità troppo forte, l’esatto contrario di quel che vuole chi oggi comanda a Tehran.”
Nella sua residenza di Beirut sud, proprio davanti a Consiglio Supremo Sciita di cui è un autorevole componente da anni, Hani Fahs si preoccupa di quanto zucchero voglia nel tè mentre mi accompagna tra le nebbie iraniane. Prima di diventare il “Khatami” di Beirut , come lo chiamano in tanti, lui a Tehran ci ha lavorato a lungo, ai tempi di Khomeini.Tempi lontani, ora lui è la voce dei fautori del dialogo tra civiltà, e anche per questo si tiene costantemente informato. Tanto da poter rispondere anche alla mia domanda più elementare: perché questa rottura tra Ahmadinejad e Khamenei? Non sono entrambi dei reazionari?
“Non è una rottura ideologica. Le idee un po’ eccentriche di Ahmandinejad erano note anche quando fu scelto per sostituire Khatami alla Presidenza della Repubblica. Innanzitutto bisogna capire che i centri di potere in Iran sono due; i pasdaran, i guardiani della rivoluzione, con il loro apparato militar industriale, e l’ayatollah Khamenei, la guida della rivoluzione, con tutto ciò che dipende direttamente dai suoi uffici.
A quel tempo i pasdaran scelsero Ahmadinejad, che praticava il suo populismo da sindaco di Tehran, come candidato alle presidenziali, perché volevano farne il sindaco dell’Iran. Khamenei accettò e Ahmadinejad venne eletto. Ma si mise in testa di essere davvero il Presidente della Repubblica, di rappresentare e costituire un vero potere nazionale. Con il suo populismo si è costruito una base di consenso soprattutto nelle aree rurali del paese. La sua rete assistenziale e gli appalti truccati gli hanno portato clientele, consenso e soldi. Tutto questo ha molto infastidito i pasdaran. Quando è arrivata la sua fraudolenta rielezione i pasdaran non hanno mosso un dito per lui, hanno lasciato ai basij, notoriamente guidati dal figlio di Khamanei, il lavoro sporco. La repressione, gli assassinii, gli arresti, le torture, sono stati operati dai basij.
Così facendo Ahmadinejad, nato come uomo dei pasdaran, è apparso un pupazzo, questa volta nelle mani di Khamanei. E Khamenei non si è fato pregare, ha cercato di trattarlo come tale, considerandolo molto indebolito dopo la veemente contestazione popolare.. Ma Ahmadinejad non ha accettato. Come aveva sfidato i pasdaran ha sfidato anche Khamanei. E’ arrivato a dirgli pubblicamente: “ayatollah Khamenei, lei è la guida della rivoluzione, ma la eleggono gli 83 componenti del Consiglio dei Esperti , il più giovane dei quali ha 75 anni. Io invece sono eletto da milioni di iraniani” E non si è fermato qui, ha anche cercato di far eleggere l’ayatollah a lui più vicino, Yazdi, nel Consiglio degli Esperti! Khamenei, per sventare questa offensiva, è stato costretto a chiedere l’aiuto di Rafsanjani; che in cambio della liberazione dei suoi figli, detenuti dall’insurrezione contro i brogli per la rielezione di Ahmadinejad, e di un nuovo incarico di prestigio ha fatto confluire i suoi voti con quelli di Kahamenei, impedendo la nomina di Yazdi. A quel punto per metterlo fuori gioco politicamente e costruire un nuovo blocco politico Khamenei è stato costretto a rivolgersi ai capi dei pasdaran, che hanno accettato, facendolo in senso “prigioniero politico”. E’ chiaro infatti che Khamanei non rappresenta più tutto il potere religioso e che ha accettato di costruire un nuovo blocco di potere in cui i pasdaran hanno le chiavi dell’economia. Non a caso il capo del dipartimento economico dei Pasdaran, Rustom Massimi, è stato nominato ministro del petrolio.
Qual è il collante che li unisce?
Il nucleare. I pasdaran sono portatori di una visione prussiana dello stato. Con una lettura bismarkiana della politica loro vedono nel nucleare la chiave per emergere a livello regionale, ottenere uno status internazionale, conquistarsi insomma un posto al sole alla stregua di grandi competitori come l’India. Per questo sono pronti a sfidare le minacce e anche le sanzioni, con pragmatismo ovviamente. Io non so sin dove siano disposti a procedere, ma credo che mentre lo scontro retorico li possa aiutare a suonare la musica nazionalista, immagino anche che sappiano che un attacco gli creerebbe problemi, perché il popolo iraniano è stanco di guerre, non vuole un altro conflitto, e quindi un nuovo confronto bellico non gli restituirebbe consenso. Per quanto loro dicano che alle ultime elezioni ha vota più del 60% della popolazione, alle urne in realtà c’è andato il 42-43% della popolazione. E loro lo sanno.
Lei dice che sono pragmatici. Anche sul fronte siriano? O moriranno per Bashar?
Ai pasdaran interessa la Siria, non Bashar. Il loro ragionamento è molto semplice. Io ho un negozio dal quale mi servo regolarmente, e seguito a farlo. Ma se il negozio fallisce, se il proprietario muore, io scelgo un altro negozio. Ecco, loro dicono da mesi che Bashar non ce la farà, ma il negozio è ancora aperto, e loro seguitano a servirsene. Ma intanto cercano anche quello nuovo. Sono alla ricerca di rapporti con le opposizioni siriane, anche con i Fratelli Musulmani, che essendo sunniti non dovrebbero essere i loro interlocutori preferiti o naturali. No, non ci pensano proprio a morire per Bashar. Come non pensano a morire per gli sciiti del Bahrain. Per quanto volessero la sostituzione del primo ministro in carica sono pronti a firmare anche con lui un’intesa quadro che ponga fine alle dispute tra i due paesi. E questo perché il Golfo per l’Iran oggi è vitale, molto più degli sciiti del Bahrain. Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar gli garantiscono un traffico commerciale che arriva a mille cargo settimanali, un volume d’affari che supera i 4000 miliardi di dollari. In questi tempi di sanzioni economiche sono diventati partner importantissimi, cruciali. Ma questo non deve indurre in errore. Il pragmatismo è al cuore del sistema ideologico di questo regime. Le faccio un esempio: la Tunisia. Loro hanno sempre avuto buoni rapporti con Ben Ali, “il servo dell’Occidente”, e in nome di questi buoni rapporti non hanno mai voluto saperne di Rachid Ghannouci quando era in esilio. Ora offrono a Ghannouchi buone relazioni, un partenariato amicale.
Aspettando che Bashar faccia la sua strada però lo hanno aiutato. Nessuno l’ha criticata qui per aver partecipato al sit-in in favore della popolazione di Homs?
L’Iran ha una visione diversa da quella di Hezbollah. Hezbollah sa che senza l’attuale regime il suo futuro sarà più difficile. La pensano allo stesso modo, ovviamente, ma hanno priorità diverse. Così Hezbollah deve dire ai suoi che tutti gli sciiti saranno in difficoltà se cadrà Bashar. Ma quando sono andato al sit-in per la popolazione di Homs promosso da Junblatt quelli di Hezbollah non mi hanno detto “perché hai manifestato per Homs?”, mi hanno detto “perché hai manifestato con Junblatt?”
*di Riccardo Cristiano