Dopo la sentenza al processo di Torino. Lezioni da imparare per non avere altre Eternit negli anni futuri

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Vogliamo altre Eternit negli anni futuri? Dopo l’esito giudiziario di una lunga lotta che ha visto pene severe comminate ai responsabili di migliaia di morti per un’esposizione nociva che poteva essere evitata; dopo una sentenza che, come detto da tutti, farà storia e sarà un grande contributo alla lotta per bandire l’amianto a livello mondiale, occorre porsi una domanda cruciale: quali lezioni si devono apprendere da questa vicenda per non ritrovarsi fra venti o trent’anni a celebrare processi per dare giustizia ad altre vittime, dell’amianto o di altri fattori nocivi?

Una prima risposta viene da una semplice dato di realtà: la lotta contro l’amianto è stata lunga e difficile, ha prodotto risultati importantissimi – la chiusura della fabbrica di Casale Monferrato, la legge con cui nel 1992 è stato bandito l’amianto e ora la condanna dei colpevoli – ma non si può dire che sia stata una storia in cui la prevenzione abbia avuto successo. Anzi, si può dire che la vicenda dell’amianto è l’esempio di come la prevenzione sia stata sconfitta: le migliaia di vittime e quelle che purtroppo ancora verranno, stanno lì a dimostrarlo. Sono state morti “inutili” (“unnecessaries”), come dicono gli epidemiologi, perché si sarebbero potute evitare, e il processo Eternit l’ha dimostrato (si sapeva già da tempo che l’amianto avrebbe ucciso…). Allora la prima risposta, la prima lezione da imparare è che la prevenzione deve essere il criterio guida per eliminare questi rischi, tutti i rischi. Di quale prevenzione abbiamo allora ancora bisogno per evitare altre Eternit negli anni a venire? Per non ritrovarsi altre vittime cui dare giustizia e a constatare che “eppure si sapeva”?

La prima indicazione riguarda i materiali contenenti amianto, di svariato genere, ancora presenti in innumerevoli siti, da cui l’esigenza di controllare e se necessario bonificare decine di aree industriali, ora dismesse, ove si producevano manufatti contenenti l’asbesto, migliaia di edifici pubblici, comprese circa 2.400 scuole, oltre 50 milioni di metri quadrati di coperture in cemento amianto e 100mila km di condotte. La legge 257 del 1992, che ha bandito il minerale killer, e le successive disposizioni applicative affidano alle Regioni il compito di censire queste situazioni, di sottoporle a controllo e di verificare le attività di bonifica a carico dei proprietari. Solo alcune adempiono a questi compiti, sicché non esistono dati esaurienti, così come manca una responsabilità nazionale identificabile che svolga funzioni di indirizzo, di coordinamento e di verifica. Eppure, la legge citata prevede una commissione nazionale, che dopo aver lavorato alcuni anni è però stata soppressa, e la convocazione periodica da parte del governo di una conferenza nazionale. C’è qualcuno che in questi giorni stia rivendicando l’adempimento a tali disposizioni?

La seconda indicazione riguarda un altro minerale, storicamente noto per aver fatto strage di minatori ed edili fino a venti anni fa: la silice. La battaglia per eliminare la silicosi è stata vinta, anche questa dopo centinaia di  migliaia di vittime, ma adesso lo stesso minerale impone una nuova battaglia, quella contro il suo potere cancerogeno, acclarato ufficialmente dalla Iarc (l’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro) fin dal 1997. A livello europeo, nel 2006, le organizzazioni sindacali e imprenditoriali del settore chimico hanno raggiunto un accordo con l’obiettivo di prevenire i rischi cancerogeni da silice, garantendo un livello elevato di protezione con la partecipazione e il coinvolgimento del sindacato e in particolare dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Se da una parte questa intesa ha dato la giustificazione, secondo le regole del “dialogo sociale”, perché la Commissione Ue non legiferasse in materia, ma neanche adeguasse la classificazione e l’etichettatura dei prodotti di silice inalabile alla cancerogenità dichiarata dalla Iarc, in Italia non si è mossa foglia. Nemmeno le parti sociali del settore interessato dall’accordo europeo si sono date da fare per una sua trasposizione nazionale, come d’uso e opportuno. Si deve registrare solo un’importante iniziativa di alcune Regioni, che hanno istituito il Nis, Network italiano silice. Questo ha prodotto un notevole documento di linee guida per la prevenzione, che però non è stato adottato ufficialmente a livello nazionale e non è all’ordine del giorno della Commissione consultiva permanente, che invece se ne dovrebbe occupare. Le prospettive di protezione dei lavoratori dal potere cancerogeno della silice sono quindi il silenzio e il buio completo.

Una terza problematica di prevenzione che la vicenda Eternit dovrebbe insegnare ad affrontare riguarda le nuove tecnologie produttive che utilizzano i cosiddetti “nanomateriali”, dalle dimensioni piccolissime (un milionesimo di millimetro), in grado di penetrare nell’organismo in modo massivo, non solo per inalazione, ma anche attraverso la pelle. Si sa sperimentalmente degli effetti altamente nocivi delle nanoparticelle, utilizzate ormai sempre di più in numerosissimi settori industriali, da quello automobilistico all’energia, dal tessile alla chimica e all’elettronica, dalla metallurgia alla gomma ecc. Si stima  che tra pochi anni in Italia i lavoratori esposti saranno circa 900.000. Per iniziativa dell’Ispesl (ora “ex” perché assorbito in Inail) è stato recentemente presentato un libro bianco che fa il punto sulla situazione delle nanotecnologie nel nostro paese e propone un’agenda per approfondire le conoscenze a avviare iniziative di prevenzione. Nessuna reazione a livello politico  e sindacale è stata finora registrata.

Un’ultima lezione, ma non per importanza, dovrebbe insegnare la storia della lunga lotta di Casale Monferrato contro l’amianto. I risultati ottenuti non cadono dal cielo. Sono frutto di un lavoro iniziato tre decenni fa da un piccolo gruppo di persone, che strada facendo ha raccolto attorno a sé i lavoratori dell’Eternit e tutta la cittadinanza, diventando il riferimento del movimento di lotta per il bando dell’amianto a livello nazionale. Questo piccolo gruppo ha dovuto affrontare e sormontare scogli che altri, in altre situazioni, non sono riusciti a superare, come respingere il ricatto occupazionale fino alla chiusura della fabbrica, pur di difendere la salute (eppure i lavoratori dell’Eternit erano con loro quando furono licenziati), sostenendo duri conflitti con la loro stessa organizzazione sindacale, per convincerla che quella era la strada da percorrere. Questo insegna che vertenze così complesse richiedono l’impegno preciso di uomini e di mezzi, che siano messi in condizione di poter essere concretamente responsabili di guidare una lotta di lungo periodo, come quasi sempre sono quelle che riguardano la salute dei lavoratori. Esattamente ciò che non sta avvenendo ora per le problematiche che abbiamo sopra descritto. È così che ad oggi si può dire alta la probabilità di altre Eternit negli anni futuri.

* Per gentile concessione di “Rassegna sindacale”


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