TIRO (Libano meridionale) – Una “sottile linea azzurra” presidiata costantemente dalle forze ONU e visibile da parecchi chilometri di distanza da entrambi i lati del confine, che dal 7 giugno del 2000 delimita la frontiera tra le alture del Golan, controllate da Israele, e il territorio del Libano meridionale, ancora oggi feudo politico di Hezbollah.
Una linea di confine che negli anni è stata contestata, talvolta persino violata, da entrambe le parti, ma che le Nazioni Unite ritengono fondamentale demarcare in modo sempre più netto. Sulla carta e sulla terra, anche a suon di pilastri colorati.
Già dal 1978 sono presenti nell’area i caschi blu delle Nazioni Unite allo scopo di creare una fascia di sicurezza all’interno del territorio libanese così da tenere i suoi villaggi frontalieri fuori dal raggio d’azione dell’artiglieria israeliana che con attacchi ripetuti causava molte perdite fra i civili.
Il generale Claudio Graziano, che da gennaio 2007 ha assunto la guida della missione, denominata Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite, ci spiega la valenza dell’impegno italiano, in particolare con lo sminamento dopo il ritiro degli israeliani dal Sud del Libano.
I militari italiani hanno il mandato di mettere in sicurezza dalle mine antiuomo una superficie complessiva di terreno superiore ai 2mila metri quadrati, equivalente a quella di 8 campi da tennis.
Grazie ai genieri italiani, impegnati con i loro commilitoni come forza di interposizione armata nella missione denominata “Leonte 10”, le operazioni di bonifica saranno fondamentali per ripristinare la sicurezza nell’area, abitata da popolazione civile.
Le attività di sminamento, “demining” nel gergo della missione, saranno condotte nel Sud del Libano anche da unità del genio di altre Nazioni, inserite in un più ampio progetto di UNIFIL. Il progetto, denominato “Blue Line Marking Process”, ovvero “processo di tracciamento della Blue Line”, ha come obiettivo quello di indicare materialmente sul terreno il confine della Blue Line riconosciuto dalle mappe: un “tracciamento” visivo e materiale che sta progressivamente avvenendo attraverso il posizionamento dei cosiddetti “Blue Pillar”, grossi piloni di cemento armato sormontati da bidoni ridipinti con i colori e la sigla delle Nazioni Unite.
Secondo le organizzazioni umanitarie, le numerose munizioni rimaste inesplose durante il conflitto costituiscono una minaccia per i civili.
Il force commander di Unifil spiega che l’esercito italiano ha deciso di sostenere il programma civile di sminamento in Libano complessivamente con 1300 sistemi speciali SM EOD («Small explosive ordnance disposal»).
Questi sistemi permettono il disinnesco e il brillamento di proiettili inesplosi e di mine senza alcun contatto diretto. «In tal modo, sul posto è possibile garantire la sicurezza degli specialisti e accelerare il processo di sminamento», si legge in un comunicato diffuso venerdì dal DDPS.
Le munizioni inesplose costituiscono un grave problema nel sud del Libano.
Le persone costrette a fuggire dalla regione dove il conflitto è più virulento rischiano di entrare in contatto con queste munizioni non appena tornano a casa loro e scavano fra le macerie».
Nei luoghi abitati dai civili il diritto internazionale vieta l’utilizzo di bombe a frammentazione (ossia di ordigni che una volta lanciati distribuiscono a loro volta su un ampio territorio delle piccole bombe).
Gli esperti stimano che il 30% circa delle bombe a frammentazione lanciate da Israele siano rimaste inesplose. La sezione svizzera di Handicap International situa invece tale proporzione attorno al 14%.
Per il momento non si può ancora dire con precisione quale sia la reale entità del problema legato alle bombe a frammentazione nel Paese dei cedri. Ogni giorno infatti si scoprono nuove zone dove esse sono state lanciate.
Secondo fonti militari libanesi, lo scorso mese dodici persone hanno perso la vita e altre 51 sono rimaste ferite nell’esplosione di tali ordigni.
Tra le vittime anche tre esperti libanesi di sistemi di sminamento sono deceduti in seguito all’esplosione di bombe a frammentazione nel villaggio di Tebnin, a circa 15 km dalla frontiera israeliana.
«Le misure adottate costituiscono una rapida risposta alla situazione d’urgenza nella quale si trova il Paese mediorientale», sottolinea Graziano. «Non escludiamo quindi di estendere il nostro aiuto quando avremo maggiori elementi a disposizione riguardo al numero di mine inesplose disseminate nella zona».
Secondo il comandante di Unifil, le operazioni di sminamento nel Paese dei Cedri potrebbero durare mesi se non addirittura anni.
Vome la pacificazione nel Paese.
Nel sud del Libano ci sono ancora 13.000 uomini e carri armati. Il processo di pace sembra essere ancora lento e tortuoso.
La stabilizzazione non è cosa facile.
Il primo problema è che i notevolissimi cambiamenti che sono avvenuti sul terreno, i movimenti nella fiducia reciproca non sono confermati nella situazione diplomatica e nella situazione dello stato di guerra: pur avendo cessato le ostilità, Israele e Libano sono ancora in guerra. Solo dopo il passaggio successivo, ovvero la stabilizzazione del cessate il fuoco, può cominciare realmente il processo di pace.
“Nel prossimo futuro è stato verificato che le forze necessarie sono più o meno quelle dispiegate adesso, è una richiesta formulata anche dal Libano e da Israele – conclude Graziano sottolineando che “I nostri cambiamenti, sul terreno, creano le basi, però a livello diplomatico e internazionale, le parti non hanno fatto nulla”.