L’udienza per la richiesta di estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti è stata fissata per la fine di febbraio: se venisse accettata il fondatore di Wikileaks potrà essere trasferito in un carcere americano, dove lo aspettano un procedimento con 18 capi di imputazione e una condanna a 175 anni. Nel caso in cui il 48enne giornalista australiano venisse estradato non avrà più la possibilità di tornare indietro e, probabilmente, morirà in carcere. Il suo legale ha chiesto, nel corso dell’udienza preliminare a Londra il 13 gennaio scorso, più tempo al fine di esaminare meglio la posizione difensiva, dal momento che gli sono stati concessi pochissimi incontri per parlare con l’assistito, il quale non ha avuto neppure modo di esaminare i documenti del procedimento che lo riguarda.
“Resta forte Julian, stiamo combattendo per te. Non gli permetteremo di farti questo! Ricordalo! Resta forte, sarai libero!”, gli ha gridato uno sconosciuto, in mezzo alla piccola folla di attivisti, mentre era a bordo del van della polizia, che -dopo la visita alla Westminster Magistrates Court- lo trasportava nuovamente nella sua cella, nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nel sud est di Londra, dove è segregato dall’aprile del 2019. In precedenza ha trascorso sette anni nell’ambasciata londinese dell’Ecuador, dove aveva chiesto asilo politico, che in seguito gli è stato negato.
Il giornalista è uno dei personaggi più controversi degli ultimi dieci anni: da alcuni è ritenuto un eroe che ha messo in gioco la sua libertà per avere reso pubblici decine di migliaia di documenti riservati e segretati attraverso il sito Wikileaks, da lui stesso creato. Per altri invece è un pericoloso sovversivo, una spia che merita il carcere a vita. Certo è che, quale che sia il futuro del giornalista, il suo destino rappresenta un caso emblematico della libertà di stampa nel XXI secolo.
Assange ha preso parte all’udienza senza fare alcuna affermazione ufficiale. Tuttavia è bastata questa breve apparizione per riaprire il dibattito sulla sua detenzione, che ha suscitato recenti appelli internazionali di medici, giornalisti e personaggi di primo piano del mondo della cultura, tra cui anche il linguista e filosofo Noam Chomsky. Il suo aspetto esteriore ha rassicurato i sostenitori, dopo i timori suscitati in seguito alla diffusione di alcune immagini in cui appariva in cattivo stato di salute e trascurato.
Anche in Italia chi crede nella necessità di liberare il fondatore di Wikileaks è tornato a farsi sentire. “La vicenda di Assange, le accuse più disparate, il trattamento iniquo e le violazioni dei diritti umani che ha dovuto subire dimostrano come le cosiddette ‘grandi democrazie’ occidentali -in particolare, Stati Uniti e Gran Bretagna- non hanno rispetto delle persone e nemmeno delle loro stesse leggi”, sostiene il generale Fabio Mini. Cofondatore dell’associazione Peace Generation, è stato capo di Stato maggiore del Comando Nato per il Sud Europa, ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani e le operazioni di pace condotte dalla Nato nella guerra in Kosovo.
“Non occorre essere complottisti -prosegue- per riconoscere che l’accanimento contro Assange è dovuto a un solo, grave, delitto: aver detto la verità. E, ancor peggio, non aver aggiunto nulla di suo a quanto americani e inglesi affermavano e facevano in spregio a qualsiasi umanità e logica, in guerra e in pace, con i nemici e gli alleati. Ma se la persecuzione di questi ‘paladini della libertà e della democrazia’ non stupisce, è invece assordante il silenzio che tutti gli altri Stati mantengono da anni, invece di insorgere non soltanto per ciò che sta accadendo ad Assange, ma per ciò che si è limitato a svelare”.
La comunità internazionale, i servizi d’intelligence, gli eserciti e i politici del mondo “gli sono debitori di molte rivelazioni che nemmeno immaginavano o che si rifiutavano d’immaginare -osserva poi Mini- Piuttosto che ammetterle, fingono di non averle mai sentite o dicono che si tratta di nefandezze giustificate in quanto parte della guerra e della politica. Il silenzio degli ‘altri’, però, autorizza i ‘paladini’ a insistere con le menzogne, mentre Assange dev’essere lasciato libero -fisicamente e psicologicamente- anche di difendersi o di accusare. In entrambi i casi abbiamo tutto da guadagnare”.
Ad appoggiare le ragioni del fondatore di Wikileaks, che sta pagando con la vita “a vantaggio di noi tutti, la difesa della libertà” c’è anche il diplomatico Alberto Bradanini, già ambasciatore italiano in Iran e in Cina, che qualche mese fa ha lanciato una petizione per la sua liberazione. Questa prigionia ingiustificata testimonia a suo avviso “la pretesa di dominio imperiale dell’élite americana, che teme la verità ed è in preda al panico per il fatto che comuni cittadini possano conoscere trame oscure, corruttele e manipolazioni politiche e mediatiche, messe in opera da quella che si autoproclama la ‘più grande democrazia del mondo’”.
Attraverso la pubblicazione di migliaia di documenti degli apparati americani, “ricevuti senza violare alcuna norma, ma solo svolgendo la professione di giornalista -precisa il diplomatico italiano- Assange ha mostrato come operino strutture Usa occulte o semiocculte. Queste dispongono di ingenti risorse finanziarie e tecnologiche, con cui raccolgono dati su nemici e amici, finanziano tensioni, aggressioni politiche ed economiche, ‘rivoluzioni’ e conflitti contro nazioni, organizzazioni, imprese o individui che non si sottomettono al loro potere e volere. Tutto ciò a beneficio di una minoranza, la plutocrazia dell’1% contro il 99% di una popolazione precarizzata ed eticamente manipolata, che alimenta il mito della ‘nazione indispensabile’, voluta da Dio per governare un mondo recalcitrante”.
Con questa richiesta di estradizione gli Stati Uniti si pongono, secondo Bradanini, “al di sopra del diritto (nazionale e internazionale), della libertà di stampa, cruciale in un sistema democratico, e del rispetto dei diritti umani, com’è evidente anche dalla decisione di tenere aperta la prigione di Guantanamo”, che Obama aveva promesso di abolire, dove si può essere “rinchiusi senza limiti di tempo e torturati senza aver subito alcuna condanna penale”.
Gli abusi subiti da Assange, con la complicità del governo britannico -conclude l’ex ambasciatore- possono giustificarsi “solo nella presunzione che i cittadini debbano restare all’oscuro di quel che fanno apparati paralleli e servizi di intelligence. Il fondatore di Wikileaks appare come uno dei grandi della scena politica contemporanea, a favore del quale dovrebbero mobilitarsi le nazioni europee. L’Italia democratica e costituzionale -guidata da due partiti che per storie diverse si attribuiscono grande sensibilità nei confronti dei temi etici- potrebbe offrire asilo politico a Julian Assange”.
Ma dove trovare il coraggio civile per un passo del genere?