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Referendum, nuovi equilibri

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L’”accozzaglia” del fronte del No, come l’aveva definita Matteo Renzi per il carattere composito e variopinto, alla fine l’ha spuntata. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd è stato travolto. Il referendum del 4 dicembre ha bocciato la riforma costituzionale del governo. In sei lunghi e durissimi mesi di campagna elettorale è successo di tutto; sono volati anche insulti, sberleffi. Beppe Grillo, fondatore del M5S, ha definito Renzi “una scrofa ferita” in una polemica sempre più infuocata.

Massimo D’Alema sembra aver confidato persino nell’aiuto divino per la vittoria del No al referendum. L’esponente della sinistra del Pd, alla vigilia del voto del 4 dicembre, pare abbia assicurato a un amico: «La Madonna è con noi». L’invocazione dell’ex presidente del Consiglio, se c’è stata, ha funzionato.
Gli italiani hanno affollato le urne: i votanti sono arrivati al 65,5%. Matteo Renzi è stato sconfitto al referendum e sonoramente: il 59,11% degli elettori ha votato No al superamento del bicameralismo paritario e solo il 40,89% ha tracciato una croce sul Sì. Ben 19.419.528 cittadini hanno respinto il progetto renziano di modernizzare e semplificare le istituzioni, mentre appena 13.432.187 lo hanno promosso.

Renzi ha preso atto della sconfitta e ha immediatamente annunciato le sue dimissioni da presidente del Consiglio. Non ha perso il piacere per le battute: «Volevo tagliare le poltrone della politica e alla fine è saltata la mia».

È salito al Quirinale per esporre a Sergio Mattarella la fine del suo governo. Ora tutte le decisioni passeranno nelle mani del presidente della Repubblica. Dovrà valutare la delicata crisi. Sono improbabili le elezioni politiche anticipate chieste dal M5S, dalla Lega Nord e da Fratelli d’Italia. C’è l’urgenza di approvare il disegno di legge di Bilancio (votato dalla Camera e non ancora dal Senato), un provvedimento fondamentale per la finanza pubblica italiana.  C’è anche la necessità di varare un nuovo sistema elettorale per le politiche o, comunque, di cambiare in profondità l’Italicum (la legge elettorale voluta da Renzi, legata strettamente alla riforma costituzionale naufragata, prevede solo l’elezione dei deputati e non dei senatori). Mattarella dovrà verificare se esiste una maggioranza in Parlamento per proseguire la legislatura, che scadrà all’inizio del 2018, e a chi affidare l’incarico di guidare il nuovo governo.

È difficile la nascita di un Renzi bis, l’incarico di formare un nuovo esecutivo potrebbe andare ad una figura di carattere istituzionale (tra i papabili c’è il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il presidente del Senato Pietro Grasso). I due fronti più caldi sono quello economico e quello della modifica dell’Italicum.
La batosta è pesante. Il voto referendario, di fatto, si è trasformato in un referendum su Renzi, sulle sue riforme strutturali, sui suoi quasi tre anni di governo. Renzi ha personalizzato e politicizzato il voto. Da solo ha sfidato tutti: Beppe Grillo, Silvio Berlusconi (Forza Italia), Matteo Salvini (Lega Nord), Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), Nichi Vendola e Stefano Fassina (Sinistra Italiana), Mario Monti (ex presidente del Consiglio del governo tecnico del 2011-2012), Pier Luigi Bersani (sinistra Pd). Negli ultimi giorni ha avuto un aiuto tiepido solo da Romano Prodi, ex presidente del Consiglio e inventore dell’Ulivo e del Pd.

Renzi ha perso clamorosamente la sfida. Ha vinto la protesta sociale. Praticamente tutta Italia (tranne le roccaforti emiliane, toscane e trentine) hanno bocciato la riforma costituzionale. La Grande crisi internazionale del 2008 e la globalizzazione hanno avuto gravissime conseguenze economiche e sociali. La chiusura di molte fabbriche, la disoccupazione, il precariato, la valanga dell’immigrazione, la Ue a trazione tedesca, il forte impoverimento hanno spinto il ceto medio e quello operaio a votare in massa contro la classe dirigente e il governo (come è già avvenuto in Gran Bretagna con il referendum sull’uscita dalla Ue e negli Usa con l’elezione di Donald Trump a presidente, come successore di Barack Obama).

La grande maggioranza degli italiani ha respinto la riforma costituzionale, ha votato Sì solo il 40,89%, un numero strano. C’è una singolare coincidenza. Ancora una volta, nel destino di Renzi, compare il 40,8%: questo per lui è un numero da cabala. Lo stesso numero, in situazioni diverse, ha avuto per lui prima una valenza fortunata e poi infausta. Il presidente del Consiglio nel 2014, appena due anni fa, trionfò nelle elezioni europee proprio con il 40,8% dei voti, sgominando tutte le opposizioni e mettendo nell’angolo tutti gli alleati. Adesso nel referendum, con lo stesso numero, ha conosciuto una disfatta.

Il giovane “rottamatore” di Firenze è finito “rottamato”. Ha commentato: «Mi assumo tutte le responsabilità della sconfitta e dico agli amici del Sì che ho perso io, non voi». Ora si apre una nuova fase politica, con probabili nuovi equilibri. Tuttavia il presidente del Consiglio se pure perderà il governo conserverà, invece, il bastione del Pd dal quale potrà ancora dire la sua. Durante le consultazioni al Quirinale, come segretario del partito di maggioranza relativa, potrà indicare chi scegliere per guidare il nuovo governo e per quale programma. Silvio Berlusconi nella campagna elettorale, pur attaccando Renzi e accusandolo perfino di “deriva autoritaria”, non ha escluso possibili intese istituzionali in Parlamento dopo il successo del No al referendum. Il presidente di Forza Italia a fine novembre ha illustrato a Canale 5 la necessità di «sedersi al tavolo per fare una nuova riforma e una nuova legge elettorale».

Anche Grillo fa una mossa sullo scacchiere politico: nuova legge elettorale e poi subito al voto. Il blog su internet del garante dei cinquestelle ha annunciato l’iniziativa: «Ora ci troviamo con due leggi elettorali tra Camera e Senato. La nostra soluzione è applicare la stessa elegge al Senato su base regionale». La situazione politica è in movimento.


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