Su Articolo 21 abbiamo già trattato la triste realtà di sfruttamento alla quale decine di migliaia di braccianti Indiani – più precisamente Sikh provenienti dal Punjab Indiano- sono costretti a vivere nell’Agro Pontino. Questa volta, però, vogliamo parlare del progetto “Bella Farnia”: un progetto d’inclusione sociale della comunità Sikh organizzato dall’associazione In Migrazione. Iniziato nel febbraio 2015 è stato prematuramente interrotto alla fine di Luglio 2015, causa taglio del finanziamento «Anche se stava portando considerevoli risultati per l’emancipazione dei braccianti indiani sfruttati» ci dice Marco Omizzolo -sociologo e presidente dell’associazione In Migrazione- mentre camminiamo fra le strade del residence Bella Farnia mare – dove appunto risiedeva il presidio di legalità “Bella Farnia”. Mentre camminiamo per il residence con Marco, incontriamo un bracciante Sikh e parlando con lui si comprende immediatamente quanto sia stata scellerata la decisione di interrompere quel finanziamento. «Vedi, il problema principale della maggioranza degli indiani è che non parlano e non capiscono l’italiano; quindi è molto facile per il datore di lavoro, disonesto e criminale, raggirarli, dargli buste paga fasulle, e permettersi di pagarli 2, 3, massimo 5 euro all’ora, a fronte dei 9 euro l’ora da contratto nazionale. Loro semplicemente non sanno cosa dice la legge, e in più non hanno gli strumenti per conoscere i propri diritti» dice Marco Omizzolo. Infatti, mentre parliamo con il bracciante, Marco gli chiede quanto prenda all’ora; lui gli risponde che viene pagato 4,50 euro; allora il sociologo gli ribatte che in teoria lui dovrebbe percepire 9 euro l’ora, perché questo dice la legge. Ovviamente non sapeva nulla, e replica con un’alzata di spalle. Il progetto Bella Farnia stava appunto cercando di far conoscere ai braccianti i propri diritti: quanto avrebbero dovuto percepire da contratto, come si legge una busta paga, ed imparare la lingua italiana: in altre parole, era un luogo che forniva gli strumenti necessari per passare da silenziosi sfruttati a coscienti e dignitosi lavoratori. Dava forse fastidio a qualcuno?
Dando uno sguardo alla relazione ufficiale del progetto “Bella Farnia” presentata a metà febbraio 2015 al CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), appare ancora più assurda e grave l’interruzione di tale progetto.
Gli obiettivi del progetto erano svariati e cruciali: insegnare la lingua italiana e il funzionamento delle istituzioni locali, istruire i Sikh circa i loro diritti lavorativi e le varie tutele a loro riconosciute dalla legge, etc. Ma più in generale, era un luogo dove la gente si sentiva libera di parlare della loro situazione lavorativa, del loro sfruttamento senza temere ripercussioni. E così il presidio, inserito all’interno di uno dei centri residenziali dove vivono centinaia di Sikh, aveva creato un genuino luogo d’aggregazione: la gente frequentava quelle stanze e acquisiva strumenti di emancipazione.
Venivano anche offerte consulenze legali gratuite, e come si evince dalla relazione ufficiale, l’80% riguardava cause da lavoro con il 90% di quest’ultime riguardanti il fenomeno delle buste paga fasulle e delle truffe ad esse collegate. Insomma, era uno spazio che offriva non solo la conoscenza dei propri diritti, ma anche strumenti concreti per far valere i propri diritti in sedi legali.
«Il 18 aprile scorso» ci dice Marco guardando il palazzetto dove risiedeva il presidio «c’è stato il più grande sciopero dei braccianti Sikh da quando sono arrivati nell’Agro Pontino. Eravamo in migliaia nelle strade del centro di Latina. E la cosa di triste è che il progetto Bella Farnia era stato un luogo essenziale per l’organizzazione dello sciopero. Grazie a quelle mura che davano protezione ai braccianti, abbiamo potuto organizzare la manifestazione ». E qui si aggiunge un altro fattore circa l‘importanza di quel presidio, che è quello della concreta presa di coscienza del proprio sfruttamento, del superamento di quella triste barriera di paura che aveva obbligato i nostri amici Sikh ad essere muti e addomestica per troppo tempo. Dunque, ancora una volta, la scelta dell’interruzione del finanziamento da parte della Regione, appare assurda ed esecrabile.
A questo punto la domanda è doverosa: perché il progetto è stato interrotto?
C’è sicuramente da dire che questo progetto era inviso a molti datori di lavoro criminali della zona, ai caporali, ai trafficanti umani (coloro che organizzano la tratta Punjab- Agro Pontino) , e a politici invischiati nella faccenda. Nella zona non si respira un clima sereno, e Marco ha recentemente subito minacce ed intimidazioni. Lui ed il progetto stavano tentando di rompere un sistema consolidato imperniato su ignoranza, segregazione ed intessi radicati soprattutto economici. È quindi sfortunatamente normale che vari soggetti abbiano vissuto male “Bella Farnia” ed i relativi risultati; e ciò è stato spesso dimostrato con pressioni di varia natura.
Tuttavia, in una situazione così tesa e pericolosa, quello che non avrebbe dovuto fare uno Stato degno del proprio nome che lotta contro sfruttamento e criminalità, è abbandonare i lavoratori e i vari soggetti che stanno lottando, come Marco, per l’emancipazione dei nostri amici Sikh. Nel momento in cui lo stato fa un passo indietro, lo sfruttamento sistemico, ne fa cinque in avanti.
«L’interruzione del progetto Bella Farnia» conclude Marco mentre ce andiamo via dal residence « ha arrestato un complesso percorso di emancipazione sociale e contrasto all’illegalità che aveva ottenuto risultati molto importanti. La comunità Sikh non ha assolutamente capito perché è stato interrotto, e continuano a chiederci il perché. Noi pensiamo che un’istituzione come la Regione Lazio debba investire senza timidezza in progetti di questo tipo; perché l’integrazione ed il sostegno di questa gente si fa concretamente sul campo fornendo strumenti, e non solo con parole e dibattiti» sostiene Marco con passione, la vera passione di chi lotta realmente a fianco degli sfruttati. «Bella Farnia ha permesso di raccogliere storie di sfruttamento lavorativo che sono diventate denunce e speriamo presto processi contro caporali e datori di lavoro sfruttatori. Ci piacerebbe quindi sapere se c’è ancora da parte della Regione Lazio la volontà d’impegnarsi per restituire dignità e giustizia ai braccianti pontini, o se invece si preferisce evitare questo tema».
Regione Lazio batti un colpo, perché i braccianti che ci fanno trovare frutta e verdura nelle nostre ordinate case, è da troppo tempo che battono; ma battere un colpo in un oceano sordo ed omertoso spesso non porta a nulla . È l’ora che qualcuno scenda dalle proprie comode sedie, si avvicini per ascoltarli, e torni a parlare con gli sfruttati, che sono lì, a soli 100 km dal parlamento della Repubblica Italiana.