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Nuova repressione contro studenti e stampa in Egitto, rilanciamo #Journalism_not_a_crime

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L’onda delle proteste in Egitto, sempre più alta dall’omicidio di Giulio Regeni, cresce e si abbatte sul già precario equilibrio del Paese e del governo del generale Abdel Fattha Al-Sisi, che risponde nel solo modo che conosce: con la repressione.
Nelle ultime 48 ore al Cairo si sono susseguite manifestazioni organizzate sia da studenti e professori dell’Università americana del Cairo, la stessa in cui svolgeva la sua ricerca l’italiano ucciso al Cairo, per potestare contro  l’arresto di Ibrahim Tamer Ibrahim, iscritto alla facoltà di Ingegneria fermato dalla polizia lo scorso 24 aprile. Sia dal sindacato dei giornalisti, scesi in piazza per chiedere le dimissioni del ministero dell’Interno.
I giovani che manifestavano per Ibrahim hanno chiesto il suo rilascio e un impegno diretto dell’università affinché non si  ripeta un nuovo caso Regeni.
Bebo, questo il suo soprannome, è stato prelevato dall’aeroporto del Cairo mentre era in procinto di imbarcarsi su un volo diretto ad Atene, per un viaggio organizzato dall’ateneo.
Era stato arrestato una prima volta il 15  aprile, mentre si trovava nei pressi del sindacato dei giornalisti,  che è da giorni nel mirino delle autorità del Cairo. Rilasciato poco dopo, nei giorni successivi la polizia si è presentata a casa sua per portarlo nella sede dei servizi di sicurezza e lasciato andare dopo un lungo interrogatorio. Il 24 aprile l’ultimo arresto, con l’accusa di tentativo di fuga, incitamento alla violenza, appello a proteste non autorizzate e vandalismo.

Stesso trattamento è stato riservato anche ad alcuni esponenti della stampa, che sta subendo una delle fasi più repressive della storia egiziana.L’assemblea generale del Sindacato dei giornalisti, contestualmente alla manifestazione di ieri, ha chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno, Magdy Abdel Ghaffar, e le scuse della presidenza della Repubblica.

Al termine di un incontro straordinario i delegati hanno approvato un testo con 18 punti in cui chiedono, fra le altre cose, il rilascio immediato dei giornalisti Amr Badr e Mahmud al Saqqa, arrestati il primo maggio nel blitz delle forze di polizia; nuove leggi che non consentano il ripetersi di episodi di questo tipo e la sospensione delle disposizioni legislative che consentono la censura.
Il sindacato ha inoltre presentato una denuncia contro il ministero dell’Interno e gli agenti responsabili del blitz di domenica scorsa, invitando a “vestire a lutto” la prima pagina dell’edizione domenicale dei giornali nazionali, pubblicandola interamente nera.

Non è tutto: l’assemblea ha convocato una nuova sessione di emergenza per il 17 aprile, per discutere la possibilità di indire uno sciopero di categoria, prolungando fino a quella data il sit-in permanente nela sede del sindacato, che ha chiesto a tutti i colleghi di “scrivere dei crimini commessi dal ministero dell’Interno” sfidando così l’ordine di riservatezza imposto ieri dalla procura generale.

Una risposta ferma quella del Sindacato egiziano alle recenti misure restrittive volute sia dal ministero dell’Interno che dalla procura generale del Cairo.

Mentre l’assemblea era in corso, in contemporanea con la dimostrazione all’esterno dell’edificio, ci sono stati degli scontri tra i manifestanti a favore della libertà di stampa e forze di sicurezza.
Sulla sua pagina Facebook il giornalista investigativo Mohamed al Mandrawy, ha denunciato quanto stava avvenendo postando anche delle foto. Gli agenti di polizia avrebbero reagito con violenza agli slogan dei dimostranti. Gli scontri sarebbero durati pochi minuti senza gravi conseguenze.

La polizia ha anche impedito una marcia di protesta del Sindacato dei medici, guidata dalla dottoressa di religione copta Mona Mina.
Il corteo non ha potuto avvicinarsi alla sede sindacake dei giornalisti, che continua a essere presidiate,da quando sono scoppiate le proteste per la cessione di due isole egiziane, Sanafir e Tiran, all’Arabia Saudita, dalle forze di sicurezza.
Il presidio della polizia si era progressivamente allentato, ma da domenica scorsa è nuovamente aumentato il controllo.
Sui social network, intanto, è stato lanciato l’hashtag “#Journalism_not_a_crime”, mentre l’attivista per i diritti umani e avvocato Gamal Eid ha chiesto la rimozione del procuratore generale, Nabil Sadeq, dopo lo “scandalo” della mail inviata “per errore” dal ministero dell’Interno, in cui emergerebbero complicità tra magistratura e governo contro il Sindacato dei giornalisti.
L’ordine di riservatezza delle autorità giudiziarie, richiesto esplicitamente dal ministero dell’Interno, dopo che diversi personaggi pubblici avevano accusato le forze di sicurezza di aver violato gli articoli 70 e 71 della costituzione egiziana del 2014, è un atto inaccettabile.
La libertà di stampa attraverso stampati, pubblicazioni elettroniche e video “è garantita” e sono “vietate censure, confisca, sospensione o chiusura di giornali e mezzi di comunicazione in qualsiasi modo”, questo è quanto sanciscono i due precetti costituzionali.
Ma, a differenza del nostro Articolo 21, che tutela pienamente la libertà di espressione e di stampa, l’articolo 71 prevede che “in via eccezionale sia disposta, in tempo di guerra o di mobilitazione generale, una censura temporanea”.
Inammissibile,
Da oggi tutti noi ci stringiamo ancora di più ai colleghi egiziani e affianchiamo a #veritapergiulioregeni l’hastag lanciato dal sindacato dei giornalisti per impedire di silenziare la voce della stampa libera. Tuti insieme diciano #Journalism_not_a_crime.


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