Care colleghe e cari colleghi, mi costituisco: sono tra coloro che hanno giudicato inopportuna la candidatura di Beppe Giulietti alla presidenza della Fnsi. Lo penso fin dal congresso di Chianciano quando questa ipotesi si affacciò per la prima volta e in questi mesi l’ho sostenuto in maniera aperta e trasparente per ragioni che, considerato il livello che ha assunto la polemica di questi giorni, ritengo utile rendere ulteriormente pubbliche.
Anzitutto vorrei chiarire che non si tratta di una questione banalmente anagrafica: detesto il gioco di chi vuole mettere i “giovani” contro i “vecchi” e del resto, se questo fosse il problema, non avrei votato con convinzione il nome di Santo Della Volpe dopo aver contrastato quello di Giulietti nel congresso di Chianciano.
Penso però che Beppe Giulietti abbia legato la sua storia sindacale a una stagione ormai lontana e molto diversa da quella che stiamo attraversando. Nel sindacato –come nella politica- contano le parole ma contano anche i segnali che si mandano: restituire a una posizione di primo piano un dirigente con queste caratteristiche, avrebbe significato fare una scelta orientata al passato, come se venticinque anni di storia non avessero prodotto altre figure in grado di interpretare il ruolo di Presidente della Fnsi. Inoltre, credo che la vera emergenza del sindacato sia oggi quella di trovare parole e persone in grado di avvicinare e coinvolgere le migliaia di giovani precari e sfruttati che stentano a vedere nel sindacato un punto di riferimento. Non penso che si possa pensare di farlo riproponendo i bellissimi volti di stagioni passate, molto evocativi per chi le ha vissute, ma privi di significato per chi non le ha conosciute.
Aggiungo che i prossimi mesi vedranno il sindacato impegnato in una durissima vertenza contrattuale nella quale, secondo la moda del momento, le nostre istanze verranno facilmente etichettate come “vecchie” e “superate”. Se teniamo, come teniamo, ai valori di indipendenza e libertà della nostra professione, dobbiamo avere la forza di cambiare schema, disorientare le controparti, sottrarci al ricatto del luogo comune.
Tuttavia non sono queste la riserve più importanti che ho manifestato nei confronti della candidatura di Beppe Giulietti. Sono convinto che l’impegno politico rappresenti un qualcosa di nobile e lui, da parlamentare, si è impegnato per ben cinque legislature con grande dedizione, difendendo spesso la buona causa della libertà dell’informazione. Resto però altrettanto convinto che ai giornalisti -come ai magistrati o a tutte quelle figure che esercitano ruoli delicati all’interno della società- debba essere riconosciuta quella “terzietà” che viene inevitabilmente meno nel momento in cui si accetta un pur legittimo incarico politico. Terzietà che non significa, naturalmente, mancanza di opinioni: ma un conto è l’impegno civile in senso lato, altro sottoporsi al giudizio degli elettori o svolgere incarichi parlamentari e di governo. In altri termini, non amo le porte girevoli che dalla professione conducono alla politica e ritorno e credo che anche su questo terreno si giochi la credibilità della nostra categoria. La scelta di Beppe Giulietti –anche per l’indiscutibile valore e per la forza della persona- avrebbe marchiato in un senso politico forte la Federazione della Stampa. Aggiungo per altro che nessun sindacato ha mai pensato di restituire a ruoli dirigenziali persone che avessero fatto il salto nella dimensione politica. Questo principio mi pare ancor più importante per una organizzazione unitaria come la Federazione della Stampa che contempera al suo interno un vasto ventaglio di opinioni politiche.
Questo per ciò che concerne la nobiltà del ragionamento. Venendo alle minutaglie rilanciate in queste ore sul web dallo sguaiato fan club di Beppe Giulietti, vorrei sottolineare che martedì pomeriggio –dopo aver chiesto più volte un confronto pubblico su questi temi- mi sono presentato in Federazione per il convegno organizzato da Gruppo di Fiuggi sulla storia dei Presidenti della Fnsi. Scioccamente avevo immaginato che quello fosse il momento nel quale dialogare. Ho invece assistito a un monologo al termine del quale non è stato possibile né interloquire, né porre domande: uno stile sinceramente inaccettabile per un collega che si candida a ricoprire un ruolo di primo piano nella categoria. In un sindacato non ci sono persone che possono salire in cattedra immaginando di risolvere così ogni problema: in un sindacato si è tutti pari e da pari ci si confronta.
In ogni caso, non avendo potuto rappresentare direttamente a Beppe Giulietti le mie riserve, l’ho fatto e per l’ennesima volta nella riunione che si è svolta pochi minuti dopo nella stessa sala e alla quale hanno partecipato i consiglieri nazionali di maggioranza. In quella riunione, come in tutte quelle che l’avevano preceduta, anche altri colleghi facenti riferimento ad altre associazioni territoriali (Lazio, Marche, Umbria, Toscana) hanno avanzato le mie stesse riserve, ma la maggioranza ha scelto comunque di procedere con l’elezione respingendo ogni tentativo di mediazione.
Non conosco le ragioni per le quali Beppe Giulietti, a un’ora e mezza dalla riunione del Consiglio Nazionale, abbia deciso di ritirare la propria candidatura, ma di certo a indurlo alla rinuncia non possono essere stati gli argomenti sentiti nell’ultima e inutile riunione di maggioranza, considerato che questi erano già stati esposti in più riunioni nelle quali erano presenti molti amici di Beppe Giulietti. Mi vengono quindi in mente due sole ipotesi: o le nostre riserve non gli sono state riportate correttamente, oppure nella notte è successo qualcosa che non conosciamo.
In ogni caso, un confronto aperto e leale avrebbe fugato ogni dubbio. Le investiture e gli uomini della provvidenza appartengono alla storia e alla tradizione di altre comunità. In un sindacato il consenso si costruisce con il confronto, ma sono convinto che questa sia anche l’opinione di Beppe Giulietti.
* Stefano Tallia, Segretario Associazione Stampa Subalpina