Nei giorni scorsi, sulla scia del Rapporto della World Literacy Foundation in tema di analfabetismo nel mondo e del suo costo per l’economia globale, su diversi siti e blog si è tornato a parlare di una forma particolare di analfabetismo, quella cosiddetta funzionale. In termini semplici, si tratta dell’incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana.
Nel mondo, secondo la WLF, che dal 2003 si batte per il riconoscimento dell’educazione come diritto umano primario, sono quasi 800 milioni gli analfabeti totali, pesano per ben 1,2 trilioni di miliardi di dollari sul Pil mondiale, ma è altissimo anche il loro costo sociale, in termini sanitari, di diffusione del crimine, di controllo delle nascite, etc.
Ma un analfabeta è anche una persona che sa scrivere il suo nome e che magari aggiorna il suo status su Facebook, ma che non è capace “di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. Naturalmente, questa forma di analfabetismo, detto appunto funzionale, non rientra nella contabilità del rapporto da poco uscito, ma è stato individuato dall’Ocse, nel suo Skills Outlook 2013, come fattore di freno alle capacità di sviluppo di un paese. Bene, in questa classifica, l’Italia risulta prima, con ben il 47 per cento della popolazione che riesce a interpretare il mondo circostante solo in base agli effetti immediati che può avere sulla sua vita quotidiana; ad esempio, la crisi economica è soltanto la diminuzione del suo potere d’acquisto, la guerra in Ucraina è un problema solo se aumenta il prezzo del gas, il taglio delle tasse è giusto anche se corrisponde ad un taglio dei servizi pubblici. In pratica, ha un atteggiamento miope ed egoista del mondo che lo circonda, è facilmente influenzabile da propaganda e promesse di vantaggi immediati o di soluzioni semplicistiche, come “affondiamo i barconi in Libia” per ridurre gli sbarchi o “mandiamo le ruspe nei campi nomadi” (per vederli rispuntare solo un po’ più in là), ma anche “azzeriamo il costo dei contributi sui nuovi assunti (poi le pensioni chi le pagherà?).
Nella classifica Ocse, subito dopo di noi c’è il Messico, con il 37% della popolazione e gli Usa, con il 20. Molto dopo arrivano gli altri 21 paesi membri dell’organizzazione.
Un’attitudine che, a ben guardare, riguarda da vicino anche noi giornalisti, come responsabili certo, insieme ai politici come a quanti operano nel mondo della comunicazione in senso lato, ma non ci comportiamo anche noi, spesso, da analfabeti funzionali? Ad esempio, quando nelle nostre cronache si parla di Africa solo quando centinaia di migranti sbarcano (o dovremmo dire vengono a morire) sulle nostre coste; o quando un italiano viene rapito o ucciso in un paese si cui abbiamo sentito vagamente il nome sui banchi di scuola; la guerra tuttora in corso in Siria ci tocca per la distruzione di Palmira, meta culturale e turistica di livello mondiale, o quando ci ricordiamo di Padre Dall’Oglio, già da due anni nelle mani dei sequestratori (ma lui alla Siria e al dialogo con un mondo complesso e lontano ha dedicato la sua vita e la sua missione religiosa). Parliamo della Nigeria perché la vicenda delle studentesse rapite da Boko Aram colpisce l’immaginazione e perché molte di loro appartenevano alla comunità cristiana, ma facciamo finta di nulla quando, arrivate da noi dopo insopportabili traversie, quelle stesse donne vengono rinchiuse in un Cie in attesa di essere rispedite nelle mani dei loro aguzzini; apriamo notiziari e prime pagine sul funerale del boss dei Casamonica, ma per troppi anni abbiamo raccontato Roma solo attraverso le cronache politiche, lasciando soli quanti (colleghi e volontari di Libera) da tempo denunciavano l’intreccio di mafie che stava strozzando la capitale con il beneplacito di tutti, dedicando però pagine e pagine ai ladri d’appartamento o alle borseggiatrici rom “piaga per il turismo” e per la pretesa immagine di Paese avanzato che l’Italia vorrebbe essere. Giustamente oggi, proprio sul nostro sito, la collega di Repubblica
Federica Angeli, più volte minacciata proprio dai Casamonica e dai loro sodali, ci chiede”ma invece di inseguire le malefatte, non dovremmo impedire che avvengano?”
Non aggiungo altro. Il costo, economico e sociale, dell’analfabetismo sul nostro Pil, secondo la World Literacy, ammonta a 37 miliardi di dollari, che, per gli analfabeti funzionali corrisponde a una importante manovra di bilancio. Ma per toccare con mano il costo dell’analfabetismo funzionale dalle nostre parti, forse basterà seguire la prossima campagna elettorale, tra politica degli annunci e populismi esasperati. Ma, allora, saremo ancora in grado di capirne i risultati?
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