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RAI, un appello al nuovo Cda

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“La TV è lo spaccato dell’identità sociale di un paese e di un’epoca, più della realtà stessa”: a dirlo è Carlo Freccero, uno dei più autorevoli fra i membri del nuovo Cda RAI, eletto oggi in quota Movimento 5 Stelle, cui va dato atto, finora, di aver proposto i nomi migliori emersi in questa legislatura.

No, non ci piace la nuova composizione del Cda RAI: non tanto per i nomi in sé, tutte rispettabili persone, fra le quali spicca anche un compagno di tante battaglie come Franco Siddi, quanto per il metodo seguito per rinnovarlo. Regna ancora la Gasparri e questa, al netto dei singoli profili professionali, si configura né più e né meno che come l’ennesima lottizzazione dei partiti a danno di un servizio sempre meno pubblico e sempre più oggetto di una privatizzazione di fatto. Ne sapremo di più nella prossima primavera, quando scadrà la concessione dell’azienda con lo Stato e si capiranno le reali intenzioni dell’esecutivo: se a qualcuno dovesse saltare in mente di passare dalla privatizzazione di fatto a quella di diritto, ovviamente, la nostra voce contraria non tarderà a farsi sentire in tutte le sedi opportune.

Ciò detto, non ci piace quanto sta accadendo non solo alla luce della controriforma della RAI appena approvata al Senato e da settembre sui banchi della Camera, la quale costituisce un ritorno a prima del ’75, con la concessione all’amministratore delegato (che quasi sicuramente sarà il renzianissimo Antonio Campo Dall’Orto, ex direttore di MTV) di poteri di cui non disponeva nemmeno il plenipotenziario democristiano Ettore Bernabei; non ci piace quanto sta accadendo, in particolare, perché a mancare totalmente nel dibattito sulla prima azienda culturale del Paese è una seria riflessione sulla missione del servizio pubblico e sull’idea stessa di cosa esso dovrebbe rappresentare e proporre nell’era del digitale, dei nuovi linguaggi della rete e dell’affaccio al mondo del lavoro di generazioni che non hanno mai visto un programma in bianco e nero, si informano quasi esclusivamente su internet e vorrebbero un prodotto televisivo completamente diverso e rinnovato, non di minore qualità ma al passo coi tempi, con le loro esigenze e le loro aspirazioni. Una RAI consapevole per cittadini informati: questo potrebbe essere lo slogan con il quale presentare una vera riforma del servizio pubblico. Consapevole del fatto che siamo nel 2015 e che un noioso “maestro Manzi 2.0”, senza peraltro possedere le competenze e le conoscenze di quel mirabile personaggio, non avrebbe senso né seguito; consapevole del fatto che nel mondo globale delle notizie in tempo reale anche l’informazione deve essere globale, dunque meno attenta alle beghe del cortile interno di Montecitorio e in grado di analizzare e far conoscere ciò che sta avvenendo in giro per il mondo; consapevole della necessità di rinunciare ad alcuni appalti esterni per rilanciare le tante, straordinarie risorse interne all’azienda; consapevole del bisogno assoluto di tornare a illuminare a giorno tutte le periferie, a cominciare da quella umana costituita dai migranti, dagli ultimi, dai deboli, dai precari, dai detenuti e anche dalle giovani generazioni senza speranze e senza futuro, con programmi d’inchiesta e reportage all’altezza di una tradizione e di una professionalità che nella RAI c’è e andrebbe messa nelle condizioni di esprimersi. Inoltre, vorremmo vedere una RAI che si ponga come obiettivo cruciale quello di contattare i tanti attori e registi dei quali andiamo orgogliosi nel mondo per realizzare film e fiction animati da una sincera passione e da un profondo impegno civile, sulla scia di serie di grande successo come “Gomorra” e “1992” prodotte da Sky.

Ciò che non possiamo accettare, e contro cui ci batteremo con tutte le forze, sia chiaro sin d’ora, è la nascita di un nuovo duopolio Mediaset-Sky, con la RAI relegata in uno scantinato e, di fatto, trasformata in uno stanco megafono del potere di turno: renziano o non renziano, di destra o di sinistra che sia non sarebbe degno, per il semplice motivo che la libertà d’informazione è un valore sacro, imprescindibile e da tutelare a tutti i costi, sia che al governo ci siano gli amici sia che ci siano gli avversari.

“L’uomo – spiegava Enzo Biagi – può essere amico di chi vuole, il giornalista non deve essere amico di nessuno”. Vista la presenza di illustri colleghi all’interno del nuovo Cda, ci auguriamo di cuore che questa sia anche la loro bussola, il loro faro nell’agire e nel prendere decisioni che saranno fondamentali per il futuro del Paese, in quanto dal livello dell’informazione passano le scelte delle persone; scelte che noi vorremmo informate e libere, riscattando l’onta del settantatreesimo posto nella classifica di Reporters Sans Frontières per quanto concerne la libertà d’informazione.

Qualche commentatore malizioso ha osservato che, a parte Freccero e Siddi, tutti gli altri nomi non sono proprio una garanzia in fatto di indipendenza dai partiti che li hanno espressi: bene, ci stupiscano. Noi non vogliamo essere fra quei commentatori né gettare la croce addosso a qualcuno prima di averlo visto all’opera: saremo, come sempre, osservatori imparziali e critici ma senza idee preconcette, auspicando al contrario che le perplessità di chi ne ha espresse si dissolvano al più presto e si rivelino solo pregiudizi infondati.

Adesso attendiamo con ansia i due nomi appannaggio del Tesoro e il nome del presidente, e ovviamente vale lo stesso discorso, al netto della maggioranza che lo esprimerà: anche se sarà “Nazareno”, come probabilmente sarà, lo metteremo alla prova e lo valuteremo in base alle scelte che assumerà e al modo in cui si comporterà durante il suo mandato, accantonando simpatie e antipatie personali e attenendoci rigorosamente ai fatti e alla qualità complessiva del prodotto offerto.

Se rottamazione dev’essere, in questa strana e non certo gradevole stagione, si comincino ad accantonare le pessime pratiche censorie e degradanti del passato. Non si è partiti certo col piede giusto ma si può sempre cambiare rotta o, per dirla col Premier, verso.


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