Lottizzazione, tripartizione, canne d’organo, fuori i partiti dalla Rai, il panino (una fetta d’opposizione dentro due di governo), par condicio (sempre violata dagli altri). E poi “vergogna!”, “ora basta!”, “Fate come la BBC”, “Schiena dritta, per Dio!” Ho lavorato per il servizio pubblico radio televisivo dal 1978 al 2013 e di denunce ed esortazioni siffatte ne ho piene le orecchie e la memoria.
Ora, da Senatore, mi tocca esaminare e votare (a passo di corsa, s’intende!) un progetto di riforma della Rai firmato dal rottamatore, dal leader giovane e volitivo che ha promesso di “cambiare verso” all’Italia, quindi anche alla TV pubblica.
Peccato che l’ardore di Renzi sembri essersi spento. Il DDL 1880 affida la gestione della Rai a un Amministratore Delegato scelto dal governo, così come il Governo sceglieva il Direttore Generale in forza della legge Gasparri. Il Consiglio di amministrazione resta nominato dalla politica, meglio dire dai partiti: nel dettaglio 2 componenti dal governo, 2 dalla Camera e 2 dal Senato, ma con voto singolo in modo che spetti alla maggioranza e il secondo all’opposizione, il settimo, e settimino, dei consiglieri sarà scelto dall’assemblea dai dipendenti.
Vabbé, Capo Azienda di fiducia del premier, 4 consiglieri di maggioranza, 2 o 3 d’opposizione: non cambia nulla. La testa della Rai ha la testa nella politica, e Gasparri può vantarsi: “46 articoli dei 47 della mia legge non sono stati toccati”. Almeno la Commissione Parlamentare di Vigilanza vogliamo scioglierla? Ha davvero senso un controllo politico sul controllore politico della Rai? La proposta del governo sceglie invece di mantenerla. Ed ecco che l’ottava commissione permanente del Senato ha un’idea: se resta, allora usiamola, per rendere perfetto il controllo politico.
Così il testo licenziato per l’aula prevede che il presidente della Rai sia eletto dal consiglio e al suo interno, ma la nomina “diviene efficace dopo l’acquisizione del parere favorevole, espresso a maggioranza dei due terzi, dalla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi”. Ovvero: il Presidente sarà scelto con il concorso dell’opposizione. Come prima.
E i direttori delle reti e dei Tg? La legge prevede una procedura arzigogolata, diciamo rococò. È infatti l’AD che nomina i direttori di rete ma acquisendo “il parere obbligatorio del Consiglio di amministrazione. Quanto ai direttori di testata il parere sarà vincolante, se espresso con la maggioranza dei due terzi”. Di conseguenza, una parte dell’opposizione, diciamo quella buona, che concorre al percorso delle riforme, avrà modo di dire la sua parolina anche sulla nomina dei direttori giornalisti.
Tutto cambia perché niente cambi. Ricapitoliamo: direttori scelti dal governo ma che dovranno ringraziare pure il partito d’opposizione. Sulla loro testa un consiglio di nomina politica, che avrà sulla sua un altro organo politico (la Vigilanza), infine c’è l’Agcom sempre di nomina politica. Fuori i partiti dalla Rai? Ma mi faccia il piacere! avrebbe detto il principe De Curtis.
Eppure un’altra strada era aperta, l’aveva indicata già nel 2007 uno dei più importanti collaboratori attuali di Matteo Renzi, il ministro degli affari esteri Paolo Gentiloni. La sua proposta di legge, numero 1588, prevedeva una Fondazione per la Rai, solo in parte di nomina politica, con compiti di indirizzo e controllo non di gestione. Tocca alla Fondazione nominare un consiglio di amministrazione cui spettano la conduzione dell’azienda e ogni responsabilità operativa. Il controllo separato dalla gestione. Quest’ultima più autonoma, grazie al filtro della Fondazione. Perché andava bene quando governava Berlusconi e non va più bene ora Renzi regna da Palazzo Chigi?
Ma io dico: meglio allora dare tutti i poteri al governo, al buon governo del compagno Renzi. Sia l’amministratore delegato a nominare il consiglio di gestione, e sciogliamo la Vigilanza, lasciando all’Agcom la funzione del monitoraggio e del controllo. E finiamola con le ipocrisie: in Rai decide il governo. Semplice e trasparente. Chissà è persino possibile che qualche dirigente di rete o di testata si alzi in piedi e difenda, lui, il necessario pluralismo, lo spirito di servizio, e non di parte, che sia la Rai che gli Italiani meriterebbero.
(continua…)