di Jolanda Bufalini – Concita De Gregorio – Francesca Fornario – Claudia Fusani – Mariagrazia Gerina – Natalia Lombardo
“Non ho accantonato la questione, ci scriveremo appena sarò nuovamente in forma”. L’ultimo messaggio ce l’ha mandato dall’ospedale. La questione che Santo Della Volpe prometteva di affrontare di nuovo “appena in forma” riguardava noi, ex cronisti della ex Unità, costretti a far fronte di tasca nostra alle querele per diffamazione, dopo la chiusura del giornale e la liquidazione della vecchia società editrice. Dopo mesi in cui ci eravamo sentiti abbandonati da tutti, Santo, appena eletto presidente della Federazione nazionale della stampa, ci aveva riunito nella sua stanza per farci sapere che lui sarebbe stato al nostro fianco. Gli avevano spiegato che i margini per costringere editori vecchi e nuovi a farsi carico delle querele pendenti erano molto stretti. E che il fondo antiquerele della Fnsi non avrebbe potuto sostenere un intervento straordinario. Ma a lui interessava la sostanza: stavamo vivendo una ingiustizia e il sindacato dei giornalisti avrebbe dovuto con ogni mezzo farsi carico della nostra vicenda. Questo era il suo modo di interpretare il ruolo che era stato chiamato a ricoprire. Un modo scomodo, per lui che fino all’ultimo ha speso più energie di quelle che la malattia gli lasciava a disposizione, e per gli altri, che con il suo coraggioso senso della giustizia dovevano fare i conti.
A quel primo incontro ne seguirono molti altri, con noi e con gli avvocati dello sportello contro le querele temerarie, con i liquidatori della società editrice dell’Unità e con il tesoriere del Partito democratico, Francesco Bonifazi, a cui si era rivolto, nel tentativo di sollecitare, al di là dei termini di legge, un intervento del Pd, editore di minoranza e partito di riferimento dell’Unità. Non ha lasciato nulla di intentato. Compresa la richiesta rivolta alla stessa associazione che presiedeva di fare uno sforzo in più.
Il giorno in cui convocò alla Camera la conferenza stampa per denunciare la vicenda che riguardava noi ex giornalisti dell’Unità ma anche tanti colleghi di altre testate che avevano chiuso i battenti la sala era strapiena. In molti avevano risposto al suo invito. C’erano il vice segretario del Pd, Lorenzo Guerini, la presidente della commissione antimafia, Rosy Bindi, il relatore di maggioranza della legge sulla diffamazione, Walter Verini, Vincenzo Vita, con cui aveva condiviso tante battaglie. E c’era il tesoriere del Pd Bonifazi, che in quell’occasione, si sbilanciò a prospettare qualche impegno anche a nome del nuove editore.
Santo arrivò trafelato, pallido in volto. C’era lo sciopero degli insegnanti quel giorno. E per raggiungere Montecitorio aveva dovuto fare un lungo tratto a piedi, sotto al sole. Era sfinito, gli era rimasto appena un filo di voce. E con quel filo spiegò a tutti che, se gli editori chiudono i battenti scaricando sulle spalle dei giornalisti querele e citazioni per danni, è a rischio la stessa libertà di stampa.
Santo lo aveva capito subito che quella era la posta in gioco, che la vicenda Unità non era che la punta di un iceberg contro cui anche altri giornali, in un momento di crisi drammatica dell’editoria, rischiavano di schiantarsi. Lo aveva capito perché era un giornalista vero e nel fare sindacato aveva in mente le difficoltà concrete che un cronista deve affrontare. Lo aveva capito che davanti c’era una sfida che riguardava il futuro del giornalismo e ha cercato con tutte le forze di farlo comprendere anche a tutti i possibili interlocutori, battendosi per cambiare la legge sulla diffamazione e per migliorare la proposta di riforma in discussione in parlamento. E’ anche merito suo se alcuni correttivi sono stati introdotti nel disegno di legge approvato dalla Camera lo scorso mese. Il caso che una testata potesse fallire, prima, non era neppure stato preso in considerazione.
E’ stata forse una delle sue ultime battaglie. Combatterla al suo fianco è stato un privilegio. Portarla avanti, senza di lui, ora, sembra impossibile.