La riflessione di padre Occhetta e’ una miniera di spunti, ma soprattutto ha il merito d’ individuare il ‘fil rouge’ essenziale per ripartire su vari fronti: quello della deontologia. I giornalisti italiani (ma non solo) devono trovare la loro bussola in questo momento di grande trasformazione della professione, caratterizzato anche dall’estensione della funzione ad ambiti ben piu’ ampi, di quanto solo pochi anni fa fosse immaginabile. Non c’e’ dubbio che oggi si debbano fare i conti col ‘citizen journalism’, con una comunicazione diffusa che talvolta s’improvvisa come forma d’informazione o con mediatori tra la fonte e il pubblico non patentati, ovvero con soggetti che legittimamente sulla base dell’Articolo 21 della Costituzione esercitano un ruolo, retribuito o no, che sostanzialmente era tempo fa precluso, per l’inesistenza o la scarsa penetrazione della rete e la limitatezza dell’etere. Ci sono in questo sistema di fatto, a mio avviso elementi di democrazia , ma anche fattori di rischio, resi ancor piu’ elevati dalla velocita’ , purtroppo diffusamente ritenuta piu’ essenziale del controllo rigoroso della notizia e dell’autorevolezza, con un’ esasperazione dell’ idea “slow news , no
no news”.
Dunque chi siamo e cosa facciamo, quale deve essere il nostro ruolo nella societa’? Mi sentirei di predisporre una sorta di manifesto intorno alla frase di Occhetta: “Ogni azione del giornalista è già deontologica se è rivolta al servizio della ricerca della verità, al rispetto delle persone e all’indipendenza del giudizio; l’insieme di queste azioni, anche se indirette e inconsapevoli, aiuta a costruire o a demolire il bene comune, lo spazio sociale, il legame di solidarietà, la responsabilità verso le giovani generazioni”. La formazione professionale permanente, grande opportunita’ il cui rovescio della medaglia e’ il rischio di degenerazione in business per qualcuno, abbia come cardine la deontologia. Il come fare la professione deve tornare centrale nel dibattito della categoria, in cui convivono colleghi disperati in cerca di spazi, che offrano una remunerazione almeno dignitosa ed altri che magari un contratto vero ce l’ hanno, ma che gli viene fatto scontare a caro prezzo con ritmi di lavoro disumani, quasi h 24,per 365 giorni all’anno non bisestile.
Se posso entrare nel campo che sarebbe proprio di padre Occhetta, mi sentirei di azzardare che in queste condizioni non battersi per una riforma radicale dell’ordine sia un’ omissione da peccato sociale. Non e’ piu’ possibile creare nuovi iscritti sulla base di un lavoro svolto , piuttosto che di un percorso formativo. E’ una regola d’ingaggio capestro. Gia’ in periodi di crisi ( l’ha stigmatizzato Papa Francesco a Napoli il 21 marzo scorso ) c’e’ la tendenza ad accettare di esser sottopagati e sfruttati. Figuriamoci se abbinata ad una cosa del genere c’e’ la possibilita’ di acquisire uno status professionale riconosciuto dalla legge.
Su altre due cose mi sembra importante soffermarsi. Una gia’ la sottolinea Beppe Giulietti : codificare o unificare le carte. Noi giornalisti abbiamo assunto tal quale il vizio italico di ultra legiferare, laddove basterebbero poche norme chiare, sempre applicate e se del caso sanzionate tempestivamente quando violate.Tante carte, nessuna carta, o perlomeno nessuna attenzione autenticamente prestata. E ancora, padre Occhetta tratta un tema sul quale sono intervenuto piu’ volte in passato nel consiglio nazionale dell’ ordine, anche recuperando e sviluppando un’ intuizione del collega Pino Rea, che avrebbe preferito parlare di ‘ordine del giornalismo’, piuttosto che di ‘ ordine dei giornalisti ‘. Al di la’ della denominazione, e virgoletto quanto ho scritto non molti giorni fa su questo sito, l’ordine “deve provare a rompere gli schemi e prendere iniziative presso altri soggetti, come magistratura e Agcom, dinamicamente andando a tutelare la funzione giornalistica, anche quando chi la esercita riesce ad evitare i consigli di disciplina, perche’ con la formula indefinita dell’infotainment non s’iscrive o addirittura si cancella dall’albo professionale”.
Una delle sfide future sara’ proprio quella di riuscire a cambiare l’architettura dell’ Ordine dei giornalisti. E ringrazio padre Occhetta, anche perche’ mi accorgo che lo stimolo da lui offerto ha fatto scaturire da parte mia quelle che potrebbero essere le linee essenziali di un programma da sviluppare e da condividere in ambiti il massimo possibile estesi.